photowriter
di Daniele Re
mercoledì 8 agosto 2018
mercoledì 6 agosto 2014
Su di un treno
12-05-14
Su di un treno
Salgo sull’ultimo vagone della metrò verde
a Porta Garibaldi, in direzione Loreto. Il vagone non è affollato. Sono le ore
sedici e venti di domenica undici maggio, vi è abbastanza gente per avere una
sintesi visiva dei molti ‘tipi’, o ‘stili’, o ‘generi’ di persone che vivono la
città di Milano, nostra grande metropoli, come il resto delle altre nostre
città, paesoni e paeselli.
Il vagone è uno di quelli ‘vecchio
modello’, senza aria condizionata, uno di quelli che può formare un treno solo
se agganciato ad altri vagoni simili, non come quelli ‘nuovo modello’, che sono
un unico convoglio, un unico grande tubo digerente oligocheto.
L’elenco delle varie umanità sarebbe lungo
e i molti particolari che ricordo non sono sufficienti a descrivere tutto ciò
che vedo. Ma non è tanto importante cosa, come, o quanto vedo, poiché questa
materia siamo noi tutti i giorni, sono tutti i nostri giorni. Piuttosto è la domanda pungente che questa
visione mi suscita: se fossi salito su un’altra carrozza avrei visto qualcosa
di differente rispetto a quella manciata di persone, diversi per gli abiti, ma omologhi nei volti? Avrei trovato qualcosa di dissimile da quella stessa manuale tecnologia? E dalle cuffie per la musica? Dagli occhiali a specchio? Dalle scarpe parigine? Da quegli abiti da flaneur contemporanei? Da tutti quei tatuaggi simbolici ed evocativi? Da quelle stesse 'delicatezza' e 'rudezza' sapientemente miscelate in vistosi particolari? Da quel è 'così' perché è 'così'? Da quel è 'bello' perché è 'bello'? Di quelle stesse conversazioni di lavori fastidiosi e tedi, di indisposizioni tra amici, di litigi tra amanti, di confidenze tra sconosciuti, di affettuosi saluti e stucchevoli fiumi di baci.
Treno, chi mai potrà sciogliere la mia domanda?
Ma alla fine, cosa siete tutti voi e cosa siamo? Solo dei nomi l'un per gli altri. Solo leggera presenza, solo un'immagine di passaggio nella vita degli altri. Cos'è un nome? E cos'è un'immagine? Siamo un'accozzaglia arbitraria di singoli elementi privi di per sé stessi di un significato. Siamo solo una sequenza ordinata di suoni alla quale, senza apparente motivo, attribuiamo profonde e profondissime immagini.
Treno, chi mai potrà sciogliere la mia domanda?
Ma alla fine, cosa siete tutti voi e cosa siamo? Solo dei nomi l'un per gli altri. Solo leggera presenza, solo un'immagine di passaggio nella vita degli altri. Cos'è un nome? E cos'è un'immagine? Siamo un'accozzaglia arbitraria di singoli elementi privi di per sé stessi di un significato. Siamo solo una sequenza ordinata di suoni alla quale, senza apparente motivo, attribuiamo profonde e profondissime immagini.
sabato 26 luglio 2014
Lo spettacolo in ferrata
4 Luglio 2014
Monte Due Mani, ferrata Simone Contessi,
Torrione della discordia, molto difficile, per escursionisti esperti, CAI di
Lecco, sezione di Ballabio.
Assisto allo ‘spettacolo’ di mio fratello
che arrampica sulla parte lungo la via ferrata. È stato, forse, il vedere e
rivedere le stesse ‘straordinarie’ immagini di spettacoli patetici in tv, o
sullo schermo del pc, o su uno di quegli innumerevoli e portatili, che mi ha
procurato quella sensazione di déjà vu di quell’infinito movimento statico e domestico
che è la visione in connessione. È stata una sensazione strana: io ero lì,
seduto, seduto su di un comodo sasso a mirare il silenzioso panorama di Lecco e
di tutta quanta la Brianza dall’alto e di una delle sue valli; mio fratello era
là, ad arrampicare sulla parte di roccia, sempre più distante, sempre più un
puntino, sempre più adeso e parte del torrione. Da qui non c’è pericolo, il
vuoto e la gravità non si percepiscono: sento che il palpito patetico del
legame fraterno si affievolisce.
Se dovesse succedere qualcosa cosa farei? Ed
ecco alla mente comparire alcune immagini di impossibili ed eroici salvataggi
folli.
I miei piedi sono saldi e lui continua a
salire tranquillamente in verticale, fino a quando una grossa sporgenza costringe
la via a proseguire verso destra, lì sotto c’è un’ombra profonda e scura e mio
fratello, vestito in chiaro e rosso, vi si sovrappone: è il momento perfetto
per scattare la foto.
venerdì 4 luglio 2014
Gente, tutto quel che c'è
Gente,
tutto quel che c’è
“le
facce non proclamano opinioni, non esprimono critiche, dicono solo: “così siamo
nella vita vera e ne non ti piace non lo voglio sapere perché vivo la mia vita
a modo mio e che Dio ci benedica tutti, forse”…“se ce lo meritiamo”…
Jack Kerouac, prefazione a Gli americani
di Robert Frank.
La street photography è uno strumento di
indagine dei molteplici aspetti del vivere comune, una pratica che richiede
etica giornalistica e senso critico nella comunicazione e divulgazione di una cultura
condivisa. Il fotografare, attività diffusa e democratica, deve rimanere libero
da costrizioni e impedimenti come spiega Vincenzo Cotinelli nella sua
interpretazione delle leggi vigenti – principi costituzionali, Legge n.633,
Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 – che regolano la fotografia di
persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico: ripresa, utilizzo e pubblicazione.
Questa esposizione nasce dalla volontà di
immortalare istanti emblematici delle attività svolte dall’uomo nella sua
quotidianità, con lo specifico riferimento alla dimensione sociale. Si è scelto
di suddividere gli scatti seguendo i diversi lavori di reportage svolti,
corredando alcuni di questi con testi scritti dall’autore stesso.
Per quanto lo scatto fotografico possa
essere considerato un gesto comune e di attuazione immediata occorre riflettere
e considerare il fatto che mediante questo medium si compie un’operazione che
porta ad un duplice risultato: da una parte viene decretata la “morte” del
soggetto e dell’istante attraverso la cattura dello sguardo, dall’altra,
proprio per questo, ne viene sancita l’immortalità e il perdurare dell’attimo catturato
nel flusso del tempo, da ciò deriva che ad ogni fotografia ne seguirà un’altra
arbitrariamente scelta in virtù dei rapporti fra i loro significati.
Ogni fotografia sta a rappresentare non
già un valore universale ma un locale punto di interesse quotidiano all’interno
delle logiche sociali in evoluzione costante, perciò una pratica che non avrà
mai fine, sempre giustificata nella sua necessità di documentare data dalla
stessa forza che genera il movimento di cambiamento: cambiano l’ambiente e il
paesaggio sociale, cambiano le attività, le abitudini e i gesti, cambiano le
emozioni, le facce e le mode.
Le fotografie non sono opere d’arte con un
valore e un senso in quanto tali e prese singolarmente, ma immagini che acquistano
senso se inserite in un contesto di congiunzione e confronto tra di loro e con tutti
gli altri testi prodotti dalla società.
Il percorso delle fotografie cerca di
definire l’ambiente locale nel suo dove,
chi, e come con le fotografie di Lecco città - http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/la-mia-lecco.html
- Lecco diario II - http://rephotowriter.blogspot.it/2013/11/lecco-diary-part-ii.html
- Lezioni di antropologia culturale: il coro Elikya - http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/lezioni-di-antropologia-culturale-il.html
- Dove stiamo andando? - http://rephotowriter.blogspot.it/2013/01/dove-stiamo-andando.html
- Milano, piazza Duomo contro tutti i razzismi - http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/milano-piazza-duomo-contro-tutti-i.html
e ‘N’tool Legoon - http://rephotowriter.blogspot.it/2014/01/monte-legnone.html.
Testi, fotografie ed esposizione sono
stati realizzati tutti dall’esordiente Re Daniele in collaborazione con il
circolo PD di Galbiate che ha gentilmente concesso lo spazio in occasione della
festa democratica di Sala al Barro al centro sportivo al Marè.
L’apertura dell’esposizione è prevista
per giovedì 10 luglio alle ore 18.30.
Le foto resteranno esposte al tendone
della festa democratica per i giorni dal 10 al 13, il 16, dal 18 al 20 e dal 25 al 27 del
medesimo mese.
Si ringraziano Matteo Riva per la
selezione dei testi e Matteo Losi per il progetto grafico.
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Ubicazione:
23851 Sala Al Barro LC, Italia
lunedì 30 giugno 2014
Henry Peach Robinson
Henry
Peach Robinson
Henry
Peach Robinson nacque a Ludlow il 9 luglio 1830, morì a Tunbridge
Wells il 21 febbraio
1901, fu un fotografo britannico, esponente attivo
del movimento pittorialista e sperimentatore
della tecnica del fotomontaggio, che utilizzò in tutta la opera. Raggiunse la celebrità
nel 1858 con la foto, fortemente simbolica, intitolata “Fading
Away”: dove sono rappresentati il fidanzato, la madre e la sorella mentre
circondano il letto di una fanciulla morente.
Iniziò la sua professione come
libraio, ma, influenzato dal’opere del pittore William Turner, si interessò di pittura
e nel 1850, guidato da Hugh Diamond, scoprì la fotografia a
cui si appassionò talmente tanto che nel 1857
abbandonò l’attività libraia per aprire un laboratorio fotografico, nel quale si
occupò del ritocco fotografico dei ritratti, a cui applicava il colore o ne correggeva le imperfezioni
direttamente sul positivo. Insoddisfatto della resa delle pellicole, utilizzò
estesamente la tecnica del montaggio di più fotografie esposte diveramente per
le luci e per le ombre, così da rendere correttamente i toni del paesaggio.
Una delle tecniche più usate all'epoca era quella all'albumina, dove un composto di albume d'uovo e nitrato d'argento veniva spalmato su una lastra di vetro, questa emulsione, come altre tra le prime, era più sensibile alla luce blu, la quale si imprimeva più rapidamente, motivo per cui risultava indispensabile il fotomontaggio in fase di stampa.
Una delle tecniche più usate all'epoca era quella all'albumina, dove un composto di albume d'uovo e nitrato d'argento veniva spalmato su una lastra di vetro, questa emulsione, come altre tra le prime, era più sensibile alla luce blu, la quale si imprimeva più rapidamente, motivo per cui risultava indispensabile il fotomontaggio in fase di stampa.
Fu uno dei membri fondatori del circolo fotografico Linked Ring Brotherwoow, e un
membro della Compagnia d'Onore della Royal Photographic Society. Robinson fu tra
i più noti ed influenti pittorialisti inglesi, non solo per il suo contributo
tecnico, ma anche per i numerosi saggi teorici incentrati sul tentativo
di dimostrare il valore artistico della fotografia a confronto con la pittura.
Nei suoi libri Robinson spiega le tecniche per fare fotografie
artistiche e dice di non esitare a ritoccare quando è necessario.
Si sposò nel 1859 ed in seguito affermando che prima è la fotografia, poi
la moglie.
Nel 1864 abbandonò la pratica di fotografo per i problemi di salute
causati dai chimici utilizzati nel processo fotografico. Mantenne comunque vivo
il suo interesse pubblicando nel 1869 il
saggio Pictorial Effect in Photography, Being Hints on Composition and
Chiaroscuro for Photographers e Picture-making by photography.
La sua progettualità consisteva nella lenta e scrupolosa elaborazione di scene e soggetti a partire da disegni e schizzi preparatori, per passare poi alle precise ripresi dei soggetti in posa e l’accurato montaggio in camera oscura col fine di ottenere immagini complesse, elaborate e precisamente composte nelle loro linee e volumi. I temi da lui trattati erano realistici, in conformità con la moda del tempo. Attraverso il fotomontaggio eliminava le perdite di nitidezza ai bordi degli obiettivi e restituiva immagini nitide in tutta la loro superficie. Come ultima fase passava alla rifinitura con tinta e pennello per correggere le imprecisioni.
Robinson è
stato anche uno dei combattenti per il
riconoscimento della fotografia come forma d'arte a tutti gli effetti. Nella
disputa tra fotografia – tecnica e fotografia – arte questa era considerata dai
più come un semplice strumento di riproduzione, a causa dei procedimenti
meccanici richiesti.
Lo scopo del movimento pittorialista fu quello
di elevare il mezzo fotografico al pari della pittura. I pittorialisti
usavano tecniche e processi che
rendevano l'immagine simile ad un disegno, come la stampa alla gomma
bicromata o al bromolio, gli obiettivi soft-focus o la stampa combinata
di più negativi su di un unico positivo. Essi preferivano il procedimento della
calotipia, nel quale la superficie della carta rendeva confusi i
dettagli piuttosto che le tecniche di ripresa su lastra di vetro.
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