martedì 19 marzo 2013

Garry Winogrand

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/ Wikipedia, http://www.huffingtonpost.it/2013/01/22/garry-winogrand-la-retrospettiva-con-250-nuove-fotografie-al-sfmoma_n_2524286.html, http://www.fondazionefotografia.it/it/people/winogrand/, http://2photo.org/garry-winogrand-frammenti-di-una-realta/, http://marcocrupifoto.blogspot.it/2013/02/garry-winogrand-maestri-della-fotografia.html di Alessandra Santina Severino, http://www.vogue.it/people-are-talking-about/vogue-arts/2013/03/mostra-garry-winogrand di Sofia Mattioli; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.


Garry Winogrand
"La fotografia non è cosa si fotografa, ma ciò che appare al fotografo"

Garry Winogrand nasce a New York il 14 gennaio 1928, muore a Tijuana il 19 marzo 1984; fotografo statunitense lavora principalmente a New York e Los Angeles, spesso a fianco dell'amico Lee Friedlander, con il quale fu promotore della street photography, una derivazione della straight photography.
Cresce nel Bronx in una famiglia di origine ebraica, il padre conciatore di pelli e la madre cuce cravatte. Comincia a fotografare alla fine degli anni quaranta, dopo aver abbandonato l’esercito.
Nel 1948 studia pittura e fotografia alla Columbia University di New York, successivamente frequentò un corso di fotogiornalismo presso la New School for Social Research, tenuto da Alexey Brodovitch, dove acquisisce i principi base della fotografia di strada. Brodovitch poneva l’accento sull’intuito per perseguire una versione più libera del “moment decisif” di Cartier-Bresson.
Negli anni cinquanta inizia a lavorare come freelance e nei due decenni successivi - sempre più indipendente dal lavoro commerciale grazie a due borse di studio della Guggenheim Foundation - orienta senza sosta l'obiettivo grandangolare della sua rapida  Leica sulla vita di New York, fotografando eventi politici e culturali, conferenze e manifestazioni di protesta, inaugurazioni di mostre e appuntamenti mondani.
Dal 1960 in poi, Garry Winogrand porta avanti un capillare lavoro di reportage sulla società americana, scattando un numero incredibilmente alto di fotografie nei luoghi di quotidiana frequentazione cittadina. In questi stessi anni si reca spesso in giro per New York con Lee Friedlander per immortalare scene di vita vissuta; accompagnando questa passione al costante lavoro di giornalista freelance.
La sua prima esposizione di rilievo si tenne nel 1963 al Museum of Modern Art di New York. Nel 1966 espose le sue foto all'interno della mostra Toward a social landscape alla George Eastman House di Rochester insieme a Friedlander; con lui e Diane Arbus partecipa alla mostra New Documents curata da John Szarkowski al MOMA nel 1967.
Tra i suoi portfolio più celebri figurano The Animals (1969), una raccolta di significative immagini scattate allo zoo del Bronx e all'acquario di Coney Island, Women are beautiful (1975), omaggio alla bellezza femminile in luoghi e situazioni differenti, Public relations (1977), in cui dedica la sua attenzione alla risonanza dei media sulle reazioni della gente, e Fort Worth Fat Stock Show and Rodeo (1980).
Alla sua morte, avvenuta nel 1984 all'età di 56 anni a causa di un tumore alla colecisti, lasciando inedito un enorme archivio di oltre 300.000 immagini, molte delle quali mai sviluppate, perchè a causa del suo stato di perenne eccitazione e desiderio di catturare e fermare (fissare) il mondo che lo circondava nel tentativo di affermare la sua esistenza e concretezza non si preoccupò mai di sviluppare i rullini. Per Winogrand, come per altri fotografi prima e dopo di lui – ad esempio Walker Evans, Eugene Smith e Diane Arbus – durante l’ultimo periodo l’atto stesso di fotografare diviene un’ossessione che non lascia spazio ad altro nella vita. Un’ossessione invalidante, quasi una pazzia, che a discapito della tecnica libera la visione soggettiva.
Alcune di queste vennero raccolte, esposte e pubblicate dal MOMA in un volume dal titolo Winogrand, Figments from the Real World.
“Il tempo passato in camera oscura era tempo passato senza fotografare. Sviluppare il materiale aveva sempre contato meno dell’urgenza di accumularlo”.Geoff Dyer, L’Infinito Istante.
“Egli fotografava sia che avesse o no qualcosa da fotografare, e che fotografava soprattutto quando non aveva un soggetto, nella speranza che l’atto di fotografare potesse condurlo ad esso”. John Szarkowski.
“Lui riteneva che il mondo si sarebbe fermato se avesse smesso di fotografarlo”. Trudy Wilner Stack.
“Da pedone era arrivato a fotografare qualsiasi cosa si muovesse e, quando era sul’automobile, si muoveva ogni cosa”. John Szarkowski.

Nel lavoro di Garry Winogrand i volti sono quelli della gente comune, le storie quelle che incontriamo in maniera inconsapevole per le strade ogni giorno. I suoi scatti raccontano l'universo underground della New York City degli anni ’60 e ‘70, quella realtà che fino ad allora si era pensato fosse meglio non osservare, tanto meno documentare. La street photography di Winogrand è un modo introspettivo, riflessivo e intimo, da newyorkese qual è, di guardare quella parte della società americana a cui non si era mai prestata attenzione.
Il soggetto principale delle fotografie di Winogrand è la capacità dello stile di vita americano di esistere in situazioni insolite o talmente difficili da poterne sopravvivere soltanto ignorandole.
Con il suo sguardo ironico coglie da uomini, donne, lavoratori e passanti la loro espressione più profonda. La sua street photography racconta New York, Chicago, Dallas, Miami, Los Angeles, Houston e Albuquerque. Egli cattura il complesso tessuto della vita americana con un’osservazione casuale della vita quotidiana, carica delle tensioni che muovono l’America di quegli anni, fatta di esposizioni inclinate e giochi visivi.
“Fotografo per vedere come il mondo appare nelle mie fotografie”
Garry Winogrand ha l’unico obiettivo di documentare i gesti della folla così come dei singoli passanti, politici e manifestanti pacifisti, nuovi ricchi e soggetti ai margini della società, che come frammenti di una stessa narrazione, svelano le facce dell'America in decenni turbolenti, dalla ripresta economica post-bellica sino agli anni Ottanta, segni di una storia collettiva che si sviluppa in luoghi di scambio: incroci, zoo, spiagge, sale per conferenze o marciapiedi.
Il suo lavoro è un racconto per immagini della società americana che riprende il percorso tracciato dalla fotografia sociale di Walker Evans e Robert Frank, che gli fu di grande ispirazione per l’atteggiamento di cattura pragmatica della realtà statunitense, in particolare il modo in cui Evans reagì alla Grande depressione.
Winogrand così come i suoi predecessori Evans e Frank non cerca risposte, ma nei suoi fotogrammi vengono raccontate le contraddizioni, le ingenuità e i cambiamenti della società americana.
La strada e gli abitanti americani si sovrappongono, l’idea della frontiera segue una storia già raccontata, come detto da Evans e Frank, e nella quale si ritrovano tracce della rigorosa lucidità di Atget, dell’uso della fotografia come documento sociale e veicolo di cambiamento tipico di Aaron Siskind, Sid Grossman, Sol Libsohn, Arthur Lipsia e Dan Weiner.
Brassai e Weegee suggeriscono a Winogrand nuovi punti di vista e lo avvicinano tramite la fotografia sociale ad un mondo sotterraneo, buio, fatto di diseredati e violenza rivisitato secondo una sensibilità ironica che trasforma la denuncia in satira e in cui il tragicomico e il grottesco lo depauperano da ogni grazia e sfumatura.
Spinto dalla curiosità di scoprire come la fotografia - e il suo porre una cornice intorno ad un insieme di informazioni - sottoponga la realtà ad un inevitabile processo di trasformazione. Winogrand si affida al proprio istinto e al potere della fotografia di vedere più dell’occhio umano, ponendosi in antitesi con la teoria della previsualizzazione di Ansel Adams e Edward Weston.
Le sue fotografie sono una disanima caotica del mondo circostante che centrifuga il racconto ordinato della fotografia tradizionale. Un caos che descrive in maniera coerente la varietà di un mondo sgraziato che ha come sfondo quel rumore visivo che le immagini non attenuano ma che anzi mettono se possibile ancora di più in rilievo in quanto parte determinante del paesaggio rappresentato.
Queste fotografie costruiscono un nuovo racconto che pone l’uomo al centro di una storia nella quale le immagini catturano l’attenzione dello spettatore attraverso l’uso della metafora e dell’ironia.
“Il suo occhio trasforma i soggetti in caricature catalogando la varia umanità in caratteri ben definiti. Gli attori di questa società hanno bisogno di un palcoscenico ben riconoscibile come solo lo possono essere gli spazi urbani cosi familiari da essere il genius loci di una determinata società, allora i supermarket , le strade, i centri comemrciali, gli aeroporti, gli stadi, i parchi, gli zoo, i rodei, diventano le quinte prospettiche e i fili conduttori dei contatti sociali che quotidianamente avvengono nelle città.
La forza delle sue fotografie si basa sulla capacità di seguire questi fili e di racchiudere in uno scatto la simultaneità delle azioni e delle relazione, dei gesti e dei movimenti che si fondono in un corpus fotografico che ha indagato la società americana come nessuno prima di lui aveva fatto con tanta semplicità e complessità”. Sofia Mattioli

"Una fotografia è l'illusione di una descrizione letterale di come la macchina ha visto una porzione di tempo e di spazio. Una fotografia può solo mostrare come la macchina ha visto ciò che è stato fotografato. Oppure come la macchina ha visto la porzione di spazio e di tempo responsabili dell'aspetto della fotografia. Oppure, diciamo, una fotografia non deve essere in nessun modo precisa (tranne il fatto che è l’illusione di una descrizione letterale). Oppure, non ci sono regole di composizione o struttura esterne, astratte o predefinite che possono essere applicate alla fotografia. Mi piace pensare che quando si fotografa si debbano rispettare due cose. Rispettare il mezzo, lasciandogli fare ciò che meglio sa fare, descrivere. Rispettare il soggetto, descrivendolo come è. Una fotografia deve essere responsabile di entrambe le cose. Io fotografo per vedere come sono le cose dopo che sono state fotografate." Garry Winogrand, Understending Still Photographs, 1974.

Lee Friedlander

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/,http://2photo.org/lee-friedlander-fotografo/Wikipedia, http://www.fondazionefotografia.it/it/people/friedlander/, http://initinere.forumfree.it/?t=57357799, http://www.madonnashots.net/0-78-friedlander1.html, http://www.alfonso76.com/dblog/articolo.asp?articolo=620, http://marcocrupifoto.blogspot.it/2013/02/lee-friedlander-maestri-della-fotografia.html, di Alessandra Santina Severino; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.


Lee Friedlander

Lee Friedlander, nasce a Aberdeen il 14 luglio 1934, fotografo statunitense tra i maggiori autori di fotografia documentaria dagli anni ‘60 ad oggi ed esponente della street photography assieme all’amico Garry Winogrand.
Friedlander ha studiato fotografia presso l'Art Center College of Design di Pasadena, in California. Nel 1956 si trasferisce a New York City dove realizza ritratti di musicisti jazz, fotografandoli per le copertine dei loro dischi. Spontaneità, intimità, complicità e gusto del reportage si fondono in fotografie dotate talvolta anche di un certo grado di indagine psicologica.
In particolare a New York ha l’occasione di incontrare Walker Evans, Robert Frank, Diane Arbus e Garry Winogrand, insieme al quale promuove la street photography, genere che formerà tanti fotografi delle successive generazioni.
Nel 1960 Lee Friedlander si aggiudica la borsa di studio della Guggenheim Memorial Foundation, la quale gli consente di concentrarsi sul suo lavoro di ricerca personale; negli anni seguenti la fiducia nel suo operare viene rinnovata con altre due borse di studio della Guggenheim Memorial Foundation, una nel 1962 e l’altra nel 1977.
Alcune delle sue fotografie più famose appaiono nel numero di settembre del 1985 sulla rivista Playboy: si tratta di immagini di nudo in bianco e nero di Madonna, all'epoca studentessa, pagata 25$ per il servizio fotografico.
Lee Friedlander lavorava principalmente con una Leica 35 mm e pellicola in bianco e nero, la sua fotografia è caratterizzata da immagini di vita urbana, con strutture incorniciate da cartelli e insegne a documentare l'aspetto caotico della vita moderna.
Nel 1963, Friedlander espone al Museo Internazionale di Fotografia presso la George Eastman House, sua prima mostra personale. Nel 1967 le sue fotografie compaiono nella mostra "New Documents" curata da John Szarkowski al Museum of Modern Art di New York insieme a Garry Winogrand e Diane Arbus.
Nel 1990, la Fondazione MacArthur gli concede una ulteriore borsa di studio.
Lee Friedlander lavora oggi principalmente con fotocamere medio formato; sofferente di artrite e non autosufficiente, si dedica a fotografare i suoi dintorni. Anche il suo libro "Stems", prodotto prima e dopo l'intervento chirurgico di sostituzione del ginocchio, riflette la sua vita e le sue limitazioni.
Uno dei lavori più importanti di Lee Friendlander è "The Little Screens", una serie di fotografie dedicate ai televisori realizzate negli anni sessanta e ordinata solo nel 2001: fotografate in stanze di motel o soggiorni domestici, le TV trasmettono immagini in ambienti anonimi e desolanti, in cui l'unica presenza umana è quella di politici, star, neonati, criminali, o persone comuni che irrompono dagli schermi. "The Little Screens" testimonia l'affermarsi del potere dirompente dei media
-  passaggio epocale nella società americana - e come altre ricerche di Friedlander, si basa su quello sguardo ironico e libero da convenzioni formali che ha profondamente innovato il linguaggio documentario.

Autore dallo sguardo e attento alle persone , le sue immagini acquistano significato se si leggono mediante le regole della pittura cubista, espressionista, astratta e dell’accumulazione e del collage della Pop Art, il tutto realizzato nella maniera peculiare ed unitaria tipica del linguaggio e della tecnica fotografica, che attraverso la composizione di luci taglienti e dell’incastro dei volumi di case o insegne stradali consente al fotografo di abbattere la barriera della saturazione visiva creando un ordine della confusione, attuata attraverso l’indagine da più punti di vista di oggetti e situazioni urbane quotidiane; in questo senso si può notare una comunanza con l’Action Painting di Jackson Pollock, con i microsegni di Tobey o i gesti cadenzati di Rothko.
Sulla scia di Eugène Atget, Walker Evans e Robert Frank, si pone la ricerca di Lee Friedlander che continua il racconto delle grandi metropoli e dei grandi spazi degli Stati Uniti, seguendo un impostazione che si potrebbe definire vicina al free jazz, che unisce l’improvvisazione a schemi rigidi e precisi di costruzione dell’immagini.
La sua cifra stilistica ed il suo interesse sono segnati da quella che egli stesso definì "American social landscape", un insieme di scene colte dal quotidiano flusso degli eventi della società americana che raccontano l'anima più intima dell'America.
Nelle sue fotografie è assente ogni traccia di lirismo, sono una rappresentazione della realtà che, appunto per questo, sembrano allontanarsi da essa.
Le sue fotografie sono uno studio approfondito del paesaggio sociale americano, capaci di far risaltare l’ordinario quotidiano che si riflette nelle pose dei taglialegna dell’Alberta o nelle parate delle città del midwest. Lo spazio raccontato non è più quello smisurato di Ansel Adams o di Weston ma è lo spazio delle città in rapida evoluzione, della periferia dimenticata, del movimento fugace senza ricerca di sensazionalismi o di momenti decisivi.
Le fotografie di Lee Friedlander giocano sull’ambiguità dello spazio e del suo significato che si riflette nell’indagine del “doppio”, da qui tutta la serie dei suoi autoritratti, i quali documentano la presa di coscienza di un medium che pur riuscendo a carpire i particolari anonimi di un paesaggio difficilmente registra con esattezza scientifica i pensieri.
Nelle sue foto Friedlander esprime in modo particolare la presenza del fotografo e il suo ruolo attivo e personale nella creazione dell'immagine fotografica: spesso nelle fotografie si ritrova la figura del fotografo sotto forma di ombra o riflessa in specchi e vetrate.
La ricerca di Friedlander esplora in profondità il paesaggio urbano e sociale statunitense, raccontando il modo in cui lo sguardo non può più procedere in modo lineare né spaziare all'orizzonte, ma è costretto a rimbalzare e a farsi largo in un accumulo di segni sempre più intricato. Le sue immagini in bianco e nero hanno la capacità di dare ordine a questo caos, combinando sulla superficie fotografica un'incredibile quantità di elementi urbani e naturali, architettonici e umani: alcuni, come pali della luce, nuche di passanti o cartelloni pubblicitari, ostacolano e frammentano la visione d'insieme dello spazio fotografico; altri, come specchietti d'auto, vetrine di negozi, parabrezza o vetrate di edifici, moltiplicano i punti di osservazione del reale, suggerendo una stratificazione di significati che solo la fotografia può racchiudere e decifrare.
Opera nelle grandi metropoli, documentando l’ordinario quotidiano ed esplicitando l’ambiguità dello spazio, facendo cogliere anche i particolari più anonimi di un paesaggio. Percepisce il presente come un’entità intrinsecamente incompleta o addirittura non intelligibile. Il presente, per Friedlander è difficile da comprendere, forse lo si può percepire solo se rifratto attraverso specchi e finestre (il doppio). Sulla base di questa convinzione, per quindici anni noleggiò automobili con le quali attraversò gli Stati Uniti e li raccontò attraverso gli specchietti retrovisori.
“L’uso di automobili era riconducibile al fatto che sono mezzi dinamici, ma illusori dai quali osservare la realtà.
Le sue inquadrature sono spontanee, i suoi paesaggi urbani sono colmi di sovrapposizioni, immagini spezzate, giochi di luce, riflessi, ombre, relazioni e correlazioni; non nasconde ciò che vede, ma lo serve agli occhi dell'osservatore esattamente per ciò che è, notare come guardando le sue opere si abbia l'impressione che il “momento decisivo” sia la foto in sé e non ciò che in essa è rappresentato.
Il modo di auto-ritrarsi, il giocare con la propria ombra, resa soggetto attivo all'interno dell'immagine, l'utilizzo insistito delle riflessioni, delle specchiature, delle sovrapposizioni, della molteplicità, dell'accumulazione, dipingono un linguaggio fotografico innovativo, capace di utilizzare come elementi di espressione ciò che prima era semplicemente considerato un errore fotografico”. Alessandra Santina Severino