martedì 27 agosto 2013

A tutto tondo

A tutto tondo

La città, la città siamo noi, persone che la abitano, che la vivono e la fanno vivere di tutte le attività indispensabili al benessere della collettività e alla sua crescita in termini di qualità; ma la città non è composta da soli individui: è lo spazio fisico e la materia di cui è costituito e che prende forma dalle attività umane, continue, incessanti, infaticabili. Non esiste un momento in cui tutti gli abitanti, tutti noi, siano fermi, a riposo.
Schhhh
Silenzio
Ascoltiamo
Non sarà che ci siamo assuefatti al suono della città e della tecnologia tanto da non poterne più fare a meno?
Non sarà che noi occidentali facciamo un grande uso di radio, i-pod, eccetera e abbiamo un vasto mercato discografico perché sentiamo il bisogno di riempire il silenzio dei nostri spazi urbani, abitatiti e quotidiani?
Non sarà che abbiamo paura del silenzio?
Non sarà che abbiamo paura di ascoltarci?
Non sarà che abbiamo paura di quello che potremmo sentire o non sentire più?
Non sarà che non siamo più in grado di ascoltare il nostro corpo, la nostra mente, il mondo naturale ma anche quello artificiale?
Non sarà che l’udito è divenuto per noi quel senso che ci permette di scollegare la vista dal cervello, dal pensiero e dalla ragione, per riempirlo di “emozioni” e “benessere”?
Non sarà che non sentiremmo nulla più e nulla meno delle onde del mare, del vento tra gli alberi, del canto degli uccelli o del frullio delle loro ali o del cielo in tempesta?
È possibile che nel nostro comune didentro si celi o si celava qualcosa d’altro, di così diverso dalle sensazioni della natura? Tanto diverso da doverlo temere?
Re Daniele 7-6-2013

giovedì 4 luglio 2013

Monte Legnone, la forma delle nuvole

*ATTENZIONE: il presente articolo e le foto correlate possono essere utilizzati solo per fini didattici  e informativi,  non commerciali o a scopo di lucro ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

Per informazioni sul Rifugio Griera di Serena Sironi

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Monte Legnone, la forma della nuvole


Fotografo le nuvole nel loro paesaggio perché voglio prenderne la mutevole forma. Nulla più della natura stimola la fantasia, la creatività e la conoscenza.
Sassi, nuvole, raggi di sole che filtrano, questo è il paesaggio dove i miei pensieri ora posseggano. Radici di alberi vecchi, impressionanti, sono loro a tenere su la montagna.
Città e montagna sono diverse, ma entrambe fatte per la vita dell'uomo, così diverse e opposte, perciò ugualmente interessanti, esse sono perfette per la nostra vita. Tralicci o pali è comunque e sempre la luce a rendere l'opera e l'attività, l'industria e la campagna interessanti per il modo in cui ne svela o nasconde i volti e i dettagli.
Strada o sentire, ma sempre è una via da percorrere; lì e sempre lì scorre e scorre e scorre la vita. Qui camminando sento di non essere mai solo, il mio pensiero mi accompagna sempre, la mia curiosità o sensibilità nei confronti del mondo e della vita portano le riflessioni sui particolari che lo sguardo percepisce.
Qui vedo rocce come non ne ho mai viste prima: sono forti e imponenti; mostrano le pieghe della loro materia operate da forze ignote e ormai scomparse, onde immobili, osservabili in ogni particolare, vena o cambio di direzione. Queste si mostrano rugose e valide, eppure sono sempre onde. Seduto sull'erba umida e coi piedi scalzi e senza idea di come ci sia arrivato, così aspetto la luce che renda vive queste rocce. Faccio scorrere la mano luogo queste onde. Il sole dissolve una nuvola del tardo
pomeriggio, allora la luce arriva diretta e quasi perpendicolare, così la materia diventare un fascio di muscoli rossi irrorato da numerose vene. La natura è viva sotto la mia mano, si muove, anche il mondo è vivo e si muove. Infatti tutto cambia, e da quassù tutto sembra danzare al ritmo di onde modellanti.

La sensazione di questo movimento è che anche la materia di cui siamo costituiti è distruttibile e mutabile, come quella di tutte le cose della natura, sotto le spinte di quelle forze modellanti. Così non mi  è possibile fare altro che seguire le nuvole nel vento, nuvole che corrono e danzano, nuvole che non sono alla rincorsa di quel mutamento continuo che mi da la sensazione di essere vivo e parte di un tutto vivo da cui dipendo e del quale sono una parte importante e attiva, poiché sono legato ad altri elementi di questo tutto, nel quale credo che tutti siano alla ricerca della propria autodeterminazione e del proprio posto.
C’è sicuramente una ragione se questa roccia è su questa montagna, in questa valle e volto a ovest, verso la luce dell’intero orizzonte al tramonto. Non credo che sia qui per caso e che tutti trovino la propria ragione.
Qui il cielo, le nuvole e il sole sono elementi d’arredo quotidiano, segni grafici alle finestre e all’orizzonte l’elemento naturale dell’acqua si avvinghia a quelle rocce in lingue o vene magnifiche. Ciò che si vede da quassù sono l’azione del vento, le nuvole, l’acqua, la roccia e la luce e io sono piccolo di fronte a questi, così come credo che  qualsiasi altro si sentirebbe se posto a confronto con  questa natura viva e forte, energica e non allegra, ma in allegro e continuo movimento.

 Re Daniele 2-07-2013

Work in Progress...








lunedì 29 aprile 2013

Anna Atkins

Anna Atkins
Anna Atkins (16 Marzo 1799, Tonbridge, Kent;  9 Giugno 1871, Sevenoak, Kent) botanica e fotografa inglese, Anna è considerata la prima persona ad aver pubblicato un libro illustrato da fotografie, precedentemente al The Pencil of Natur di William Henry Fox Talbot, oltre a questo da alcune fonti è citata come  prima donna fotografa e ideatrice di uno dei primi  processi fotografici; altre fonti indicano con il nome di Constance Talbot, la moglie di William Fox Talbot, come prima fotografa della storia.
La madre Hester Holwell muore di parto nel 1800 dopo aver dato alla luce Anna, che cresce assieme al padre John George Children, scienziato dai molteplici interessi in mineralogia, chimica e zoologia, dal quale ella riceve "un'educazione insolitamente scientifica per una donna del suo tempo". Anna aiuta il padre nei suoi studi e lavori scientifici, come creare le 250 illustrazioni, realizzate mediante la tecnica dell’incisione, per l’edizione di Genera of Shells di Lamarck curata dal padre e pubblicata nel 1823.
Nel 1825 Anna sposa John Pelly Atkins, con il quale si trasferisce a Place Halstead, la casa di famiglia degli Atkins a Sevenoak nel Kent. Qui coltiva i suoi interessi in botanica, attraverso la raccolta e la classificazione di piante. Lavorando da botanica si rende presto conto dell’importanza della rappresentazione visiva delle diverse specie, sia per la descrizione e sia per l’identificazione; questo punto di interesse è il fulcro del suo primo lavoro fotografico: Photographs of British Algae: Cyanotype Impression, opera importante sia per la botanica che per l’evoluzione della fotografia.
John George Children e John Pelly Atkins sono entrambi amici di William Henry Fox Talbot, inventore del processo positivo-negativo mediante la tecnica della calotipia, poi ribattezzata talbotipia.  Anna Atkins appre direttamente da Talbot delle sue invenzioni legate alla fotografia: il "disegno fotogenico" tecnica in cui un oggetto è posto sulla carta sensibile alla luce che è esposto al sole per produrre un'immagine e il calotipo.
Nel 1841 Anna Atkins entra in possesso di una macchina fotografica, ma è con l’aiuto di Sir John Hershel, anch’egli amico di John George Children e John Pelly Atkins, che Anna viene introdotta nel mondo della fotografia; in particolare Hershel le insegna la tecnica della cianotipia, scoperta da lui stesso nel 1842 e successivamente perfezionata da Anna nel corso dei suoi lavori di catalogazione di piante e alghe.
Hershel comincia nel 1839 a sperimentare il cianotipo usando iposolfito di soda, che è in grado di fissare un'immagine su un foglio reso sensibile alla luce dai sali di ferro, quindi esposto; il foglio viene lavato con acqua e l'immagine risulta impressa con tratto bianco su sfondo blu; apartire da questo principio la tecnica viene perfezionata mescolando volumi uguali di una soluzione all'8% di ferricianuro di potassio e di una soluzione al 20% di citrato ferrico di ammonio. La soluzione ottenuta è leggermente fotosensibile e può essere applicata su carta o stoffa e lasciata asciugare al buio. I cianotipi possono essere stampati su qualunque superficie in grado di catturare una soluzione di ferro. Il positivo può essere prodotto esponendo la lastra ad una qualsiasi fonte di luce ultravioletta, ad esempio la luce del sole. I raggi UV riducono il ferro (III) a ferro (II), a questa riduzione segue una reazione complessa del ferro (II) con il ferrocianuro, restituiendo lastre colorate di un blu particolare che prende il nome di blu di Prussia.
Nel 1843 Anna Atkins pubblica il suo libro intitolato Photographs of British Algae: Cyanotype Impression, illustrato con cianotipi delle varie specie di alghe che raccoglie e cataloga durante la sua attività di botanica. Le riproduzioni sono fatte “a contatto”, posizionando le alghe sulle lastre sensibilizzate, poi esposte e sviluppate cosi da fissarne l’impronta. L’idea di Anna era quella di realizzare un volume che ampliasse il manuale non illustrato di William Harvey pubblicato nel 1841 A Manual of the British marine Algae.
Anche se pubblicato privatamente, con un numero limitato di copie e con testo scritto a mano, Fotografie di Alghe Britanniche: Impressioni Cyanotype è considerato il primo libro illustrato con fotografie. Otto mesi dopo, nel giugno 1844, il fascicolo di William Henry Fox Talbot The Pencil of the Nature viene pubblicato, questo volume di Talbot viene considerato il primo libro con riproduzioni fotografiche prodotto per essere commercializzato in un ampio mercato editoriale.
Anna Atkins nel corso della sua vita ha pubblicato tre edizioni del suo volume Fotografie di Alghe britannico:Impressioni Cyanotype tra il 1843 e il 1853. Oggi è nota l’esistenza di sole diciassette copie del libro, a vari livelli di completezza, conservate a Londra nella British Library di Londra e alla Royal Society, nel Kelvingrove Art Gallery and Museum  a Glasgow, a New York al Metropolitan Museum of Art e alla New York Public Library.
Dal 1850 Anna Atkins  collabora con Anne Dixon, che è per lei "come una sorella" che la sostiene dopo la morte del padre John George Children e con la quale condivide la passione per la fotografia, alla realizzazione di tre volumi illustrati con cianotipi: Cyanotypes di Ferns Britannica e Forestiera (1853),  Cyanotypes di piante fiorite Britannica e Forestiera e Felci (1854) e un album scritto dal "capitano Henry Dixon," nipote Anne Dixon (1861).
Collabora alla realizzazione di alcune pubblicazioni come I pericoli della moda, Londra, 1852; Il colonnello.  Una storia di vita mondana, Londra: Hurst & Blackett, 1853; Memoria del JC bambini, tra cui alcune poesie inedite di suo padre e lui stesso Londra, Bowye John Nichols e Figli, 1853; Il colpevole verrà fuori.  Una storia di vita reale.  Londra, 1859;  Una pagine della nobiltà, Londra, 1863.
Anna Atkins muore a nella tenuta di Halstead a Sevenok, nel Kent, nel 1871 di "paralisi, reumatismi, e esaurimento" all'età di settantadue anni.

giovedì 18 aprile 2013

Anne Brigman


Anne Brigman
 
Anne Wardrope Brigman (1869-1950) è stata una fotografa americana e membro  della Photo-Secession di Alfred Stieglitz.  Le sue immagini più famose rappresentanti nudi femminili immersi in contesti naturali, scattate in prevalenza tra il 1900 e il 1920, con i quali la Brigman ha avuto un rapporto intenso e che figurano come soggetto di primo piano nelle sue fotografie.
Sedicente "spirito libero" ha respinto l’idea della sua società di una donna che doveva trovare compimento di sé solo come moglie e madre, lei invece ha trovato il suo compimento con la sua espressione artistica. 
Brigman nasce nella Valle Nuuanu sopra Honolulu, nelle isole Hawaii, il 3 dicembre 1869.  È la prima di otto figli nati da Mary Ellen Andrews Nott e Samuel Nott, missionari nelle sole.   Quando aveva sedici anni la sua famiglia si trasferì a Los Gatos in California.  Nel 1894 sposa il capitano di mare Martin Brigman, con cui affronta  diversi viaggi nei mari del sud, ritornando anche alle Hawaii.
Imogen Cunningham racconta che in uno dei suoi viaggi per mare Annie cadendo si è ferì ad un seno che le fu rimosso. Se questo è vero o no, dopo il 1900 Annie Brigman ha smesso di viaggiare con il marito e si inserice nella crescente comunità bohemienne di San Francisco, dove conosce lo  scrittore Jack London e il poeta e naturalista Charles Keeler, dei quali diventa stretta amica e dove, nel 1901, cercando la sua vocazione artistica inizia a fotografare.  Con il lavoro dei due anni successivi si crea la reputazione di “maestro della fotografia pittorica”.  Alla fine del 1902 si imbattute in una copia della rivista Camera Work e resta catturata dalle immagini e dagli scritti di Alfred Stieglitz, al quale scrive lodandolo per il giornale, e Stieglitz a sua volta si interessa alla fotografia di Brigman, tanto che nel 1906 viene indicata come membro ufficiale della Photo-Secession.
 Dal 1903 al 1908 le foto di Annie Brigman sono esposte e pubblicate nella gallerie e sulla rivista di Stieglitz.  Durante questo periodo si firma con il nome di "Annie Brigman", ma nel 1911 lo cambia in "Anne". 
Nel 1910 si separa dal marito e si trasferisce dalla madre.  Nel 1913 viveva da sola "in una cabina minuscola ... con un cane rosso ... e 12 uccelli ammaestrati". Continua ad esporre, nel 1911 viene inclusa nella Mostra Internazionale di Fotografia pittorica a New York e nel 1922 in quella di San Francisco.
La sua crescente reputazione e la sua volontà di coltivare altri artisti attratti dalla fotografia la portano in contatto con i giovani Dorothea Lange, Edward Weston e Imogen Cunningham che andarono in pellegrinaggio nel suo studio.  Alcuni di questi giovani fotografi le fanno da assistenti nelle sue lunghe escursioni nella Sierra Nevada mentre posa con i suoi amici alberi.
Nello svolgere la sua attività artistica diventa anche nota come attrice nelle commedie locali e come poetessa di brani dal gusto popolare. Ammiratrice del lavoro di George James Wharton che fotografa.
Continua a fotografare attraverso gli anni e il suo stile e il suo lavoro si evolvono dal pittorialismo alla straight photography, in assonanza con le idee di Stieglitz e del gruppo della Est Coast, anche se non abbandona la sua visione originale, così dopo l’esperienza di astrazioni di spiagge di sabbia e vegetazione in bianco e nero a metà degli anni ‘30 inizia a prendere lezioni di scrittura creativa per migliorare la sua attività di poetessa.  Incoraggiata dal suo insegnate di scrittura, crea un libro delle proprie poesie illustrato dalle sue fotografie intitolato canzoni di un pagano, ma a causa delle vicende della Seconda Guerra Mondiale il libro viene pubblicato solo nel 1949.
 Nel 1929, all'età di 60 anni, Anne Brigman si trasferisce a Long Beach, sempre in California.  Il suo lavoro è diventato più introspettivo, più astratto, e molto meno popolare.  Fotografare le spiagge della California e sembrava essere particolarmente incuriosita da modelli creati nella sabbia dal vento.  Questo lavoro ha ricevuto poca attenzione critica e il suo precedente stile pittorialista drammatico viene visto sempre di più come pittoresco. 
Muore nel 1950 a 81 anni.

Le fotografie di Anne Brigman riguardano il nudo femminile, dove il corpo viene drammaticamente situato in paesaggi naturali suggestivi dal sapore mitico, epico e romantico.  Molte di queste foto sono realizzate tra le montagne della Sierra Nevada in luoghi selezionati con cura dove mette in scena pose plastiche e elaborate.  Brigman spesso si presenta come soggetto delle sue immagini.  Dopo lo scatto le fotografie vengono ampiamente ritoccare, secondo l’estetica pittorialista, utilizzando le tecniche della gomma bicromata, utilizzando la matita o le sovrapposizioni di più negativi.
Anni Birgman visita spesso la Sierra Nevada durante i primi vent’anni dell’900, tanto da sviluppare quelle che definisce "amicizie" con alberi e cime.  Nel 1926, ormai affermata fotografa, Anne scrive un articolo pubblicato sulla rivista Camera Work in cui descrive il suo rapporto con un albero: "Un giorno in una delle mie peregrinazioni ho trovato un ginepro - la più bella pianta di ginepro che ho incontrato nei miei diciotto anni di amicizia con loro. [...] E 'stato un grande personaggio come l'Uomo di Galilea o di Mosè, il legislatore, o il Buddha, o Abramo Lincoln. [...] Le tempeste e lo stress esercitato su di esso lo hanno reso forte e bello.  Qui era il posto perfetto per una figura; qui il posto per il braccio disteso a  riposo, anche se i miei piedi erano diventati gonfi a causa degli stivali, ho potuto sentire che si  inserivano perfettamente nella fessura che si trovava alla sua base del tronco" . Brigman descrive poi come ha trascorso un paio di giorni a "prendersi cura" dell'albero: mettendo ordine intorno le sue radici, rimuovendo le pietre e ciottoli poco attraente, rifilando i "piccoli rami estranei".  La descrizione della preparazione della scena ricorda il cha no yu, il rituale del tè giapponese, in cui le attività  preparatorie sono importanti per il processo come il risultato finale: la preparazione accurata mette la persona nella forma corretta della mente di fare il tè ... o prendere la fotografia.
L’approccio alla fotografia di Anne Brigman sembra sia stato influenzato da uno strano miscuglio di mitologia pagana, romanticismo europeo e l'esposizione alle credenze indigene del popolo hawaiano durante la sua infanzia. Per lei, le persone che sono state fotografate sono una parte del mondo naturale come gli alberi e le pietre, il suo approccio consiste nel  fotografare le persone come elementi della natura.
"In tutti i miei anni di lavoro con l'obiettivo ho sognato e amato lavorare con la figura umana - di incarnarla nelle rocce e negli alberi, di renderla parte integrante degli elementi, non di andare oltre la loro essenza".
Lei stessa ha detto che attraverso il suo lavoro ha "parzialmente realizzato fantasie che fiorirono nei tempi d'oro nel fragoroso tempo di due mesi in una zona selvaggia della Sierra dove gnomi e folletti e spiriti degli alberi si rivelano sotto certi incantesimi mistici."
Anne è  deliberatamente contro i principi della società in cui vive, le sue immagini sono cariche dall’atmosfera bohémien e dalla lotta di liberazione femminile.  Il suo lavoro sfida le norme culturali e le convenzioni stabilite per abbracciare immagini dall’aspetto antico e pagano.  Intense e cariche di emotività le sue foto sono in contrasto con le immagini attentamente composte dà Stieglitz e di altri fotografi moderni, i quali, durante il periodo della Photo-Secession, si preoccupano più della forma e delle possibilità tecniche ed espressive (per elevare la fotografia allo stesso livello della pittura) che dell’effettivo utilizzo dell’immagine fotografica per veicolare concetti ed emozioni, in altre parole, per comunicare.

mercoledì 17 aprile 2013

Lady Clementina Hawarden

Traduzione da Wikipedia e altre fonti

 Lady Clementina Hawarden

 Lady Clementina Hawarden (Gran Bretagna, 1822 – South Kensington 1865)
La maggior parte di ciò che si sa circa Hawarden lo si è dedotto dalle sue fotografie, pochi sono gli scritti pervenuti.
Aristocratica inglese originaria di Cadice, è considerata una delle più grandi e originali fotografe sperimentali inglesi del XIX secolo; ammirata dai suoi contemporanei e premiata due volte dalla Royal Photographic Society di Londra, fu dimenticata immediatamente dopo la sua scomparsa nel 1865 causata da una polmonite.
Prima di cinque figli, cresce nella tenuta di famiglia a Cumbernauld nei pressi di Glasgow; il padre è l’ammiraglio di marina britannica Carlo Elphinstone Fleeming, la madre Catalina Paulina Alessandra da Cadice, un 'esotica bellezza' di ventisei anni più giovane del marito. Poco si sa della sua infanzia e della sua vita in generale; sposa Cornwallis Maude, Visconte Hawarden, nel 1845 e vive a Londra fino al 1857, quando la famiglia si trasferisce nella tenuta di Dundrum, nella contea di Tipperary, in Irlanda. 
Lady Hawarden comincia a praticare la fotografia come dilettante nel 1856 ed in breve si impadronisce della tecnica. Per le sue rappresentazioni sceglie i temi presenti nel suo ambiente quotidiano: la sua proprietà di Dundrum in Irlanda, dove fotografava i contadini e la sua famiglia, in particolare le sue tre figlie maggiori, le quali sono le principali interpreti dei suoi "tableau vivant", realizzati partendo dall’osservazione di quel passaggio dall'infanzia all'adolescenza alla vita adulta che caratterizza i suoi soggetti, le quali nella maggior parte delle fotografie posano travestite da personaggi di scene tratte dalla letteratura romantica del tempo.
Particolare degno di nota è che i coniugi Hawarden ebbero dieci figli, due maschi e otto femmine, di queste solo le tre maggiori posano per le messe in scena della madre.
Nel 1859 la famiglia si ritrasferisce a Londra dove Lady Clementina Hawarden arreda una stanza munita di ampie finestre e un balcone per realizzare le foto con le figlie; particolare non trascurabile è lo sfondo stellato che caratterizza le pareti di questa stanza, che rimanda ad un mondo altro, non solo quello della produzione letteraria romantica, ma ad un mondo interiore che durante la notte assume connotati ancor più magici e misteriosi, come i paesaggi della pittura romantica e preraffaellita.
La sua opera fotografica non illustra solo la vita domestica dell'alta società vittoriana, ma è anche una preziosa e precoce testimonianza della fotografia artistica di ispirazione preraffaellita.
In tutta la sua opera Lady Hawarten cerca di esaltare la bellezza femminile nella sua sensualità ed espressività. Un dettaglio caratteristico del suo modo di lavorare è quello di non dare mai un titolo preciso alle sue scene, nonostante gli indizi suggeriti dai vestiti o dai gesti dei suoi modelli le scene restano aperte a molte possibili interpretazioni, non solo di natura letteraria ma anche (e più interessante) psicologica.
Lady Hawarten è totalmente moderna da rivolgere il suo maggiore interesse al trattamento della luce, dei suoi effetti grafici sulla scena e sui personaggi, su trasparenze e  riflessioni dei vestiti e sui loro volumi, proprio nel tentativo di creare quelle suggestioni visive che rimandassero ad una situazione del vissuto interiore. Indice di questo interesse e rimando alla psiche umana ed a un mondo interiore è l’elemento dello specchio che ricorre frequentemente nell’opera di Lady Clementina Hawarden, il quale nella cultura ellenica è il simbolo dell’anima (Psiche) poiché gli veniva attribuita la capacità di trattenere l’anima o l’energia vitale della persona che vi si rifletteva; quindi lo specchio è una grande porta che si apre verso un altro mondo, simile a quello della realtà quotidiana e che con essa si intreccia ma alla quale si nasconde o tenta di farlo senza sfuggirvi.  Inoltre lo specchio apre un interessante discorso sul tema del doppio, di una nuova realtà creata dal mezzo fotografico e delle sue possibilità, ma questi discorsi forse sono troppo teorici e concettuali per Lady Clementina Hawarden e il suo tempo, di fatti questi pensieri teorici verranno sviscerati da molti rappresentanti delle avanguardie artistiche, in particolare dal pensiero teorico di Moholy-Nagy.

martedì 2 aprile 2013

Hannah Hatherly Maynard


Traduzione da Wikipedia e http://web.uvic.ca/~hist66/roberts/welcome.htm

Hannah Hatherly Maynard
 
Hannah Hatherly Maynard (Inghilterra 1834 – Canada 1918)fotografa inglese, attiva nella colonia canadese di Vancouver Island, fu capace di divertirsi col mezzo della fotografia e di arricchire la cultura di un posto, la sua Victoria, così lontano dai maggiori centri economici e commerciali dell’America di metà ottocento.
Hannah Hatherly Maynard nasce a Bude, nella Cornovaglia, Inghilterra nel 1834, muore nel 1918 a Victoria, British Columbia in Canada.
Nel 1852 si sposa con Richard Maynard; nel 1862 emigra nella colonia dell'isola di Vancouver con la famiglia, dove il commercio è fiorente grazie la corsa all’oro ancora attiva, motivo primario per cui Richard Maynard decise di trasferircisi.
Si ritiene che la Galleria Fotografica Maynard sia stata inaugurata l’anno stesso e che i coniugi Maynard, Hannah in particolare, specializzandosi nel ritratto al momento del loro ritiro dal business nel 1912 avessero fotografato tutti coloro che erano passati da Victoria. Si ritiene anche che la Galleria Maynard sia stata la prima aperta nella colonia di Victoria, ma nella regione all’arrivo dei coniugi Maynard sono già presenti altri studi fotografici e la notorietà dello studio di Hannah è dovuto alle numerose fotografie che documentano i luoghi del Pacifico Nord-occidentale da lei visitati assieme al marito e dal vasto archivio di negativi che crea con le fotografie di San Francisco (1875), Vancuver Island (1879 e 1887, di cui si dice sia stata la prima a effettuare riprese fotografiche), Banff  (1889), Queen Charlotte Island (1888); questo suo archivio e la sua attiva presenza all’interno della comunità di Victoria le fruttano la collaborazione con il giornale locale, secondo il cui pensiero “un giornale fatto di immagini è meglio”.
Questa notorietà consente ad Hannah e Richard Maynard il ritrarre i funzionari pubblici della colonia e dello stato del Canada, oltre agli eventi pubblici come la costruzione della Cariboo Road, dei Barkerville gold fields, della Canadian Pacific Railway e le battute di pesca tenute nel mare di Bering, attività di grande rilevanza economica per la regione del Pacifico Nord-occidentale.
Assieme al marito pratica la ritrattistica da studio, mentre da sola sperimenta tecniche come photosculpture, esposizioni multiple e i fotomontaggi in camera oscura.
Assieme al marito Richard effettua numerosi viaggi nel Pacifico nord-occidentale del quale documentando i luoghi che visita crea
Recita nel teatro di Victoria per alcuni spettacoli, tra cui Be Still di Janet Munsil. Hanna ha avuto un ruolo attivo nello sviluppo delle arti all'interno di Vittoria.




 

martedì 19 marzo 2013

Garry Winogrand

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/ Wikipedia, http://www.huffingtonpost.it/2013/01/22/garry-winogrand-la-retrospettiva-con-250-nuove-fotografie-al-sfmoma_n_2524286.html, http://www.fondazionefotografia.it/it/people/winogrand/, http://2photo.org/garry-winogrand-frammenti-di-una-realta/, http://marcocrupifoto.blogspot.it/2013/02/garry-winogrand-maestri-della-fotografia.html di Alessandra Santina Severino, http://www.vogue.it/people-are-talking-about/vogue-arts/2013/03/mostra-garry-winogrand di Sofia Mattioli; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.


Garry Winogrand
"La fotografia non è cosa si fotografa, ma ciò che appare al fotografo"

Garry Winogrand nasce a New York il 14 gennaio 1928, muore a Tijuana il 19 marzo 1984; fotografo statunitense lavora principalmente a New York e Los Angeles, spesso a fianco dell'amico Lee Friedlander, con il quale fu promotore della street photography, una derivazione della straight photography.
Cresce nel Bronx in una famiglia di origine ebraica, il padre conciatore di pelli e la madre cuce cravatte. Comincia a fotografare alla fine degli anni quaranta, dopo aver abbandonato l’esercito.
Nel 1948 studia pittura e fotografia alla Columbia University di New York, successivamente frequentò un corso di fotogiornalismo presso la New School for Social Research, tenuto da Alexey Brodovitch, dove acquisisce i principi base della fotografia di strada. Brodovitch poneva l’accento sull’intuito per perseguire una versione più libera del “moment decisif” di Cartier-Bresson.
Negli anni cinquanta inizia a lavorare come freelance e nei due decenni successivi - sempre più indipendente dal lavoro commerciale grazie a due borse di studio della Guggenheim Foundation - orienta senza sosta l'obiettivo grandangolare della sua rapida  Leica sulla vita di New York, fotografando eventi politici e culturali, conferenze e manifestazioni di protesta, inaugurazioni di mostre e appuntamenti mondani.
Dal 1960 in poi, Garry Winogrand porta avanti un capillare lavoro di reportage sulla società americana, scattando un numero incredibilmente alto di fotografie nei luoghi di quotidiana frequentazione cittadina. In questi stessi anni si reca spesso in giro per New York con Lee Friedlander per immortalare scene di vita vissuta; accompagnando questa passione al costante lavoro di giornalista freelance.
La sua prima esposizione di rilievo si tenne nel 1963 al Museum of Modern Art di New York. Nel 1966 espose le sue foto all'interno della mostra Toward a social landscape alla George Eastman House di Rochester insieme a Friedlander; con lui e Diane Arbus partecipa alla mostra New Documents curata da John Szarkowski al MOMA nel 1967.
Tra i suoi portfolio più celebri figurano The Animals (1969), una raccolta di significative immagini scattate allo zoo del Bronx e all'acquario di Coney Island, Women are beautiful (1975), omaggio alla bellezza femminile in luoghi e situazioni differenti, Public relations (1977), in cui dedica la sua attenzione alla risonanza dei media sulle reazioni della gente, e Fort Worth Fat Stock Show and Rodeo (1980).
Alla sua morte, avvenuta nel 1984 all'età di 56 anni a causa di un tumore alla colecisti, lasciando inedito un enorme archivio di oltre 300.000 immagini, molte delle quali mai sviluppate, perchè a causa del suo stato di perenne eccitazione e desiderio di catturare e fermare (fissare) il mondo che lo circondava nel tentativo di affermare la sua esistenza e concretezza non si preoccupò mai di sviluppare i rullini. Per Winogrand, come per altri fotografi prima e dopo di lui – ad esempio Walker Evans, Eugene Smith e Diane Arbus – durante l’ultimo periodo l’atto stesso di fotografare diviene un’ossessione che non lascia spazio ad altro nella vita. Un’ossessione invalidante, quasi una pazzia, che a discapito della tecnica libera la visione soggettiva.
Alcune di queste vennero raccolte, esposte e pubblicate dal MOMA in un volume dal titolo Winogrand, Figments from the Real World.
“Il tempo passato in camera oscura era tempo passato senza fotografare. Sviluppare il materiale aveva sempre contato meno dell’urgenza di accumularlo”.Geoff Dyer, L’Infinito Istante.
“Egli fotografava sia che avesse o no qualcosa da fotografare, e che fotografava soprattutto quando non aveva un soggetto, nella speranza che l’atto di fotografare potesse condurlo ad esso”. John Szarkowski.
“Lui riteneva che il mondo si sarebbe fermato se avesse smesso di fotografarlo”. Trudy Wilner Stack.
“Da pedone era arrivato a fotografare qualsiasi cosa si muovesse e, quando era sul’automobile, si muoveva ogni cosa”. John Szarkowski.

Nel lavoro di Garry Winogrand i volti sono quelli della gente comune, le storie quelle che incontriamo in maniera inconsapevole per le strade ogni giorno. I suoi scatti raccontano l'universo underground della New York City degli anni ’60 e ‘70, quella realtà che fino ad allora si era pensato fosse meglio non osservare, tanto meno documentare. La street photography di Winogrand è un modo introspettivo, riflessivo e intimo, da newyorkese qual è, di guardare quella parte della società americana a cui non si era mai prestata attenzione.
Il soggetto principale delle fotografie di Winogrand è la capacità dello stile di vita americano di esistere in situazioni insolite o talmente difficili da poterne sopravvivere soltanto ignorandole.
Con il suo sguardo ironico coglie da uomini, donne, lavoratori e passanti la loro espressione più profonda. La sua street photography racconta New York, Chicago, Dallas, Miami, Los Angeles, Houston e Albuquerque. Egli cattura il complesso tessuto della vita americana con un’osservazione casuale della vita quotidiana, carica delle tensioni che muovono l’America di quegli anni, fatta di esposizioni inclinate e giochi visivi.
“Fotografo per vedere come il mondo appare nelle mie fotografie”
Garry Winogrand ha l’unico obiettivo di documentare i gesti della folla così come dei singoli passanti, politici e manifestanti pacifisti, nuovi ricchi e soggetti ai margini della società, che come frammenti di una stessa narrazione, svelano le facce dell'America in decenni turbolenti, dalla ripresta economica post-bellica sino agli anni Ottanta, segni di una storia collettiva che si sviluppa in luoghi di scambio: incroci, zoo, spiagge, sale per conferenze o marciapiedi.
Il suo lavoro è un racconto per immagini della società americana che riprende il percorso tracciato dalla fotografia sociale di Walker Evans e Robert Frank, che gli fu di grande ispirazione per l’atteggiamento di cattura pragmatica della realtà statunitense, in particolare il modo in cui Evans reagì alla Grande depressione.
Winogrand così come i suoi predecessori Evans e Frank non cerca risposte, ma nei suoi fotogrammi vengono raccontate le contraddizioni, le ingenuità e i cambiamenti della società americana.
La strada e gli abitanti americani si sovrappongono, l’idea della frontiera segue una storia già raccontata, come detto da Evans e Frank, e nella quale si ritrovano tracce della rigorosa lucidità di Atget, dell’uso della fotografia come documento sociale e veicolo di cambiamento tipico di Aaron Siskind, Sid Grossman, Sol Libsohn, Arthur Lipsia e Dan Weiner.
Brassai e Weegee suggeriscono a Winogrand nuovi punti di vista e lo avvicinano tramite la fotografia sociale ad un mondo sotterraneo, buio, fatto di diseredati e violenza rivisitato secondo una sensibilità ironica che trasforma la denuncia in satira e in cui il tragicomico e il grottesco lo depauperano da ogni grazia e sfumatura.
Spinto dalla curiosità di scoprire come la fotografia - e il suo porre una cornice intorno ad un insieme di informazioni - sottoponga la realtà ad un inevitabile processo di trasformazione. Winogrand si affida al proprio istinto e al potere della fotografia di vedere più dell’occhio umano, ponendosi in antitesi con la teoria della previsualizzazione di Ansel Adams e Edward Weston.
Le sue fotografie sono una disanima caotica del mondo circostante che centrifuga il racconto ordinato della fotografia tradizionale. Un caos che descrive in maniera coerente la varietà di un mondo sgraziato che ha come sfondo quel rumore visivo che le immagini non attenuano ma che anzi mettono se possibile ancora di più in rilievo in quanto parte determinante del paesaggio rappresentato.
Queste fotografie costruiscono un nuovo racconto che pone l’uomo al centro di una storia nella quale le immagini catturano l’attenzione dello spettatore attraverso l’uso della metafora e dell’ironia.
“Il suo occhio trasforma i soggetti in caricature catalogando la varia umanità in caratteri ben definiti. Gli attori di questa società hanno bisogno di un palcoscenico ben riconoscibile come solo lo possono essere gli spazi urbani cosi familiari da essere il genius loci di una determinata società, allora i supermarket , le strade, i centri comemrciali, gli aeroporti, gli stadi, i parchi, gli zoo, i rodei, diventano le quinte prospettiche e i fili conduttori dei contatti sociali che quotidianamente avvengono nelle città.
La forza delle sue fotografie si basa sulla capacità di seguire questi fili e di racchiudere in uno scatto la simultaneità delle azioni e delle relazione, dei gesti e dei movimenti che si fondono in un corpus fotografico che ha indagato la società americana come nessuno prima di lui aveva fatto con tanta semplicità e complessità”. Sofia Mattioli

"Una fotografia è l'illusione di una descrizione letterale di come la macchina ha visto una porzione di tempo e di spazio. Una fotografia può solo mostrare come la macchina ha visto ciò che è stato fotografato. Oppure come la macchina ha visto la porzione di spazio e di tempo responsabili dell'aspetto della fotografia. Oppure, diciamo, una fotografia non deve essere in nessun modo precisa (tranne il fatto che è l’illusione di una descrizione letterale). Oppure, non ci sono regole di composizione o struttura esterne, astratte o predefinite che possono essere applicate alla fotografia. Mi piace pensare che quando si fotografa si debbano rispettare due cose. Rispettare il mezzo, lasciandogli fare ciò che meglio sa fare, descrivere. Rispettare il soggetto, descrivendolo come è. Una fotografia deve essere responsabile di entrambe le cose. Io fotografo per vedere come sono le cose dopo che sono state fotografate." Garry Winogrand, Understending Still Photographs, 1974.

Lee Friedlander

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/,http://2photo.org/lee-friedlander-fotografo/Wikipedia, http://www.fondazionefotografia.it/it/people/friedlander/, http://initinere.forumfree.it/?t=57357799, http://www.madonnashots.net/0-78-friedlander1.html, http://www.alfonso76.com/dblog/articolo.asp?articolo=620, http://marcocrupifoto.blogspot.it/2013/02/lee-friedlander-maestri-della-fotografia.html, di Alessandra Santina Severino; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.


Lee Friedlander

Lee Friedlander, nasce a Aberdeen il 14 luglio 1934, fotografo statunitense tra i maggiori autori di fotografia documentaria dagli anni ‘60 ad oggi ed esponente della street photography assieme all’amico Garry Winogrand.
Friedlander ha studiato fotografia presso l'Art Center College of Design di Pasadena, in California. Nel 1956 si trasferisce a New York City dove realizza ritratti di musicisti jazz, fotografandoli per le copertine dei loro dischi. Spontaneità, intimità, complicità e gusto del reportage si fondono in fotografie dotate talvolta anche di un certo grado di indagine psicologica.
In particolare a New York ha l’occasione di incontrare Walker Evans, Robert Frank, Diane Arbus e Garry Winogrand, insieme al quale promuove la street photography, genere che formerà tanti fotografi delle successive generazioni.
Nel 1960 Lee Friedlander si aggiudica la borsa di studio della Guggenheim Memorial Foundation, la quale gli consente di concentrarsi sul suo lavoro di ricerca personale; negli anni seguenti la fiducia nel suo operare viene rinnovata con altre due borse di studio della Guggenheim Memorial Foundation, una nel 1962 e l’altra nel 1977.
Alcune delle sue fotografie più famose appaiono nel numero di settembre del 1985 sulla rivista Playboy: si tratta di immagini di nudo in bianco e nero di Madonna, all'epoca studentessa, pagata 25$ per il servizio fotografico.
Lee Friedlander lavorava principalmente con una Leica 35 mm e pellicola in bianco e nero, la sua fotografia è caratterizzata da immagini di vita urbana, con strutture incorniciate da cartelli e insegne a documentare l'aspetto caotico della vita moderna.
Nel 1963, Friedlander espone al Museo Internazionale di Fotografia presso la George Eastman House, sua prima mostra personale. Nel 1967 le sue fotografie compaiono nella mostra "New Documents" curata da John Szarkowski al Museum of Modern Art di New York insieme a Garry Winogrand e Diane Arbus.
Nel 1990, la Fondazione MacArthur gli concede una ulteriore borsa di studio.
Lee Friedlander lavora oggi principalmente con fotocamere medio formato; sofferente di artrite e non autosufficiente, si dedica a fotografare i suoi dintorni. Anche il suo libro "Stems", prodotto prima e dopo l'intervento chirurgico di sostituzione del ginocchio, riflette la sua vita e le sue limitazioni.
Uno dei lavori più importanti di Lee Friendlander è "The Little Screens", una serie di fotografie dedicate ai televisori realizzate negli anni sessanta e ordinata solo nel 2001: fotografate in stanze di motel o soggiorni domestici, le TV trasmettono immagini in ambienti anonimi e desolanti, in cui l'unica presenza umana è quella di politici, star, neonati, criminali, o persone comuni che irrompono dagli schermi. "The Little Screens" testimonia l'affermarsi del potere dirompente dei media
-  passaggio epocale nella società americana - e come altre ricerche di Friedlander, si basa su quello sguardo ironico e libero da convenzioni formali che ha profondamente innovato il linguaggio documentario.

Autore dallo sguardo e attento alle persone , le sue immagini acquistano significato se si leggono mediante le regole della pittura cubista, espressionista, astratta e dell’accumulazione e del collage della Pop Art, il tutto realizzato nella maniera peculiare ed unitaria tipica del linguaggio e della tecnica fotografica, che attraverso la composizione di luci taglienti e dell’incastro dei volumi di case o insegne stradali consente al fotografo di abbattere la barriera della saturazione visiva creando un ordine della confusione, attuata attraverso l’indagine da più punti di vista di oggetti e situazioni urbane quotidiane; in questo senso si può notare una comunanza con l’Action Painting di Jackson Pollock, con i microsegni di Tobey o i gesti cadenzati di Rothko.
Sulla scia di Eugène Atget, Walker Evans e Robert Frank, si pone la ricerca di Lee Friedlander che continua il racconto delle grandi metropoli e dei grandi spazi degli Stati Uniti, seguendo un impostazione che si potrebbe definire vicina al free jazz, che unisce l’improvvisazione a schemi rigidi e precisi di costruzione dell’immagini.
La sua cifra stilistica ed il suo interesse sono segnati da quella che egli stesso definì "American social landscape", un insieme di scene colte dal quotidiano flusso degli eventi della società americana che raccontano l'anima più intima dell'America.
Nelle sue fotografie è assente ogni traccia di lirismo, sono una rappresentazione della realtà che, appunto per questo, sembrano allontanarsi da essa.
Le sue fotografie sono uno studio approfondito del paesaggio sociale americano, capaci di far risaltare l’ordinario quotidiano che si riflette nelle pose dei taglialegna dell’Alberta o nelle parate delle città del midwest. Lo spazio raccontato non è più quello smisurato di Ansel Adams o di Weston ma è lo spazio delle città in rapida evoluzione, della periferia dimenticata, del movimento fugace senza ricerca di sensazionalismi o di momenti decisivi.
Le fotografie di Lee Friedlander giocano sull’ambiguità dello spazio e del suo significato che si riflette nell’indagine del “doppio”, da qui tutta la serie dei suoi autoritratti, i quali documentano la presa di coscienza di un medium che pur riuscendo a carpire i particolari anonimi di un paesaggio difficilmente registra con esattezza scientifica i pensieri.
Nelle sue foto Friedlander esprime in modo particolare la presenza del fotografo e il suo ruolo attivo e personale nella creazione dell'immagine fotografica: spesso nelle fotografie si ritrova la figura del fotografo sotto forma di ombra o riflessa in specchi e vetrate.
La ricerca di Friedlander esplora in profondità il paesaggio urbano e sociale statunitense, raccontando il modo in cui lo sguardo non può più procedere in modo lineare né spaziare all'orizzonte, ma è costretto a rimbalzare e a farsi largo in un accumulo di segni sempre più intricato. Le sue immagini in bianco e nero hanno la capacità di dare ordine a questo caos, combinando sulla superficie fotografica un'incredibile quantità di elementi urbani e naturali, architettonici e umani: alcuni, come pali della luce, nuche di passanti o cartelloni pubblicitari, ostacolano e frammentano la visione d'insieme dello spazio fotografico; altri, come specchietti d'auto, vetrine di negozi, parabrezza o vetrate di edifici, moltiplicano i punti di osservazione del reale, suggerendo una stratificazione di significati che solo la fotografia può racchiudere e decifrare.
Opera nelle grandi metropoli, documentando l’ordinario quotidiano ed esplicitando l’ambiguità dello spazio, facendo cogliere anche i particolari più anonimi di un paesaggio. Percepisce il presente come un’entità intrinsecamente incompleta o addirittura non intelligibile. Il presente, per Friedlander è difficile da comprendere, forse lo si può percepire solo se rifratto attraverso specchi e finestre (il doppio). Sulla base di questa convinzione, per quindici anni noleggiò automobili con le quali attraversò gli Stati Uniti e li raccontò attraverso gli specchietti retrovisori.
“L’uso di automobili era riconducibile al fatto che sono mezzi dinamici, ma illusori dai quali osservare la realtà.
Le sue inquadrature sono spontanee, i suoi paesaggi urbani sono colmi di sovrapposizioni, immagini spezzate, giochi di luce, riflessi, ombre, relazioni e correlazioni; non nasconde ciò che vede, ma lo serve agli occhi dell'osservatore esattamente per ciò che è, notare come guardando le sue opere si abbia l'impressione che il “momento decisivo” sia la foto in sé e non ciò che in essa è rappresentato.
Il modo di auto-ritrarsi, il giocare con la propria ombra, resa soggetto attivo all'interno dell'immagine, l'utilizzo insistito delle riflessioni, delle specchiature, delle sovrapposizioni, della molteplicità, dell'accumulazione, dipingono un linguaggio fotografico innovativo, capace di utilizzare come elementi di espressione ciò che prima era semplicemente considerato un errore fotografico”. Alessandra Santina Severino