martedì 4 dicembre 2012

A Million Things In The Last Day Of Autumn

*ATTENZIONE: il presente articolo e le foto correlate possono essere utilizzati solo per fini didattici e informativi, non commerciali ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)


08-2012_Lido_di_Mandello_del_Lario
11-2012_Parco_le_Torrette_Pescate

A Million Things in the Last Day of Autumn

Ho sempre pensato che se avessi guardato il cielo la notte avrei visto le stelle.
È possibile che un mondo sempre illuminato, in continuo movimento, mai silenzioso ci impedisca di sognare? O peggio ci abbia portato via la possibilità di farlo?
Cieli arancioni e senza stelle, infiniti riflessi ondeggiano sulla superficie del lago e lontano le nuvole basse della città ne diffondono le luci, creando un’atmosfera umida e avvolgente, facendo sembrare infinita la distanza che ci separa.
La brezza gelida del lago soffia a raffiche, brevi ma decise.
L’aria di ghiaccio spira dai monti giù verso l’acqua e pare sospingermi verso la lontana città attraverso un cielo tagliato da vento e ghiaccio.
Cosi nel cielo della notte, quasi a toccare l’argento delle nuvole, l’infinita distanza che prima mi separava dalle luci della città e dai suoi vapori sembra annullata. Per il tempo di un battito di ciglia i miei piedi si sollevano da terra, cessata la raffica tornano a bagnarsi tra la rugiada dei prati e la città infinitamente distante, là oltre il lago.
E lassù c’è pure la luna.
Il fruscio stonato degli pneumatici che corrono sull’asfalto taglia dietro di me il silenzio della notte per tutta la sua lunghezza.
Le luci dei lampioni e la loro disposizione sono l’indizio che le città moderne sono state create per essere vissute la notte.

Re Daniele 8-11-2012
4-12-2012

giovedì 8 novembre 2012

Sfidiamo il Tempo

Nota Tecnica: Foto realizzate con il foro stenopeico, Holga 6X12, su pellicola Kodak Portra 120 160 ISO - colore - Kotak T-max 100 - bianco e nero.
In tutte le fotografie destra e sinistra sono invertite poiché il foro stenopeico, per le sue proprietà geometriche e fisiche, crea un’immagine in cui le direzionalità alto-basso e destra-sinistra risultano invertite rispetto a ciò che vede il nostro cervello, ma affine a ciò che percepisce il nostro occhio.
Pertanto quello che si vede nel positivo non è reale, non può esserlo, è l’opposto del reale: è la sua immagine, attraverso la quale noi, come membri della società di massa, facciamo la conoscenza del mondo e di nostri simili e cosi li rappresentiamo.
Re Daniele 05-01-2013

sabato 20 ottobre 2012

Real


Tipologia: Video

Frame del video, per visualizzarlo selzionare Continua a Leggere

OoooBè! Come altro cominciare? Cosa altro dire? Come meglio commentare?
Quello che state per vedere appartiene a un'altra realtà, di cui solo pochi conoscono l'esistenza e ancor meno sono riusciti a toccarne il cuore, ma a loro volta ne sono stati toccati.
Il Tempo è importante, bisogna prestarci attenzione.
Tecnicamente parlando questo è il mio primo video ed è interamente realizzato da me, montaggio compreso e appunto su questo mi soffermo un po' di più: ci sono degli errori grossolani, ne ho contati quattro o cinque ed il filmato non scorre fluido come vorrei, ma pongo l'attenzione sul fatto che alcuni momenti, che potrebbero essere visti come errori nella sequenza cronologica, sono scelte volontarie.
Re Daniele 12-10-2012

lunedì 15 ottobre 2012

Abbazia di Villanova a San Bonifacio

Le note tra «…» sono prese dai testi esplicativi presenti nell’abbazia, scritti da Luigi Dalli Cani, Angelo Sofia e dal “Invito alla visita” (un foglio giallo pegato in due e stampato su ambo i lati) che non reca il nome di chi l’ha scritto


.
A volte non si pensa a quanta storia ci sia dietro alle cose e ai luoghi, qui di seguito potrete leggere dell’abbazia di Villa Nova a San Bonifacio: questa chiesa, sperduta verrebbe quasi da dire, è custode di una bellissima e ricca storia, quella della campagna che scorre tranquilla e palcida, ma senza posa. Tra reperti archeologici dall’aspetto quasi magico, tra brandelli delle fondamenta del nostro passato, più antico e più recente (la struttura contiene un piccolo museo della I° Guerra mondiale) e tra piccoli esempi di un’arte europea che percorre la storia dal medioevo fino alle guerre napoleoniche spicca il “piede del viandante”, il pellegrino instancabile.



La fugace immagine del possessore di quell’orma illumina la vista e rimanda il pensiero ad altro, forse inscibile e insondabile, che immerso in una natura brumosa e chiara avanza con passo deciso verso la sua meta. “Quale?”
È possibile che una risposta incompleta ma soddisfacente la si trovi nell’osservazione delle fondamenta “non fondamenta”, visibili sul retro della costruzione in quello che sembra un piccolo anfiteatro o nella vecchia piccionaia o nel granaio o la grande aia, ora ristrutturate e ammodernate, che attraverso un sistema di simboli architettonici che si ripetono nelle varie epoche e nei vari stili senza stravolgimenti, costituiscono un’ampia visione a tutti riconoscibile del nostro passato.

L’odierna abbazia di Villanova a San Bonifacio sorge sui resti di un antico tempio paleocrestiano edificato nel 763 d.C. da S. Anselmo del Friuli, lungo la via cosolare romana “Postumia”, poi distrutto dal terremoto del 1117, che demolì e danneggiò molti edifici in muratura presenti in tutta la pianura padana, eliminado gran parte delle architetture paleocristiane, carolinge e preromaniche, cosi favorendo lo sviluppo dello stile romanico.

Di questo periodo sono visibili nella cripta pochi ma interessanti repeti, dei quali solo il pluteo risulta essere leggibile in tutto il suo simbolismo e mistero.

Nel 1131 l’abate Umberto dei Conti di San Bonifacio fece ricostruire l’intera struttra sulla base di resti paleocristiani (i quali non avevano fondamenta) in stile romanico e dotandola anche di una torre che fingueva da vedetta e non da torre camaparia; fu l’abate Guglielmo da Modena nel 1410 che la ristrutturò con aggiunte in stile gotico, come le trifore, la cuspide e i pennacchi e la dotò della cella campanaria, mutando la sua funzione da vedetta a campanile, mentre sulla facciata fece inserire il rosone.

Dei primi decori della nuova chiesa sono sopravvisuti al tempo, grazie anche ai restauri, alcune delle “Scene della vita di San Benedetto”, degli affreschi di scuola giottesca attribuiti a Martino e Jacopo da Verona, risalenti al XIV° secolo.

In questo periodo, soprattuto nel primo medioevo, era molto diffuso il fenomeno del pellegrinaggio sulle strade del cristianesimo e questa abbazia, situata a metà strada ta Verona e Vicenza, rappresentva un punto si sosta, con la foresteria e il luogo di culto. Di questo fenomeno è rimasto presente il simbolo del “piede del viandante”, inciso su alcune colonne della chiesa.

Altro importante reperto è l’ancona lapidea raffigurante San Pietro in cattedra.

Tra il 1562 e il 1771 i monaci Olivetani apportarono modifiche e aggiunte in stile barocco, come le statue che sormontano la facciata, gli angeli della navata centrale e lo scalone che collega questa al presbiterio e infine coprendo il vecchio soffitto a capriate lignee con le più moderne volte a vela.

Del XV° secolo è la Pietà in pietra dipinta di Egidio di Wienernestadt, scultura tipica dell’arte nord europea a cui i popoli germani sono particolarmente legati e che per tale motivo durante la II° Guerra mondiale fù nascosta dietro un finto altare in resturo da Don Giuseppe Ambrosini, il quale, accortosi dell’interesse di alcuni soldati che passarono per la chiesa, decise di attuare questo stratagemma per evitare che altri nazisti interessati la portassero via.

L’abbazia di Villanova «è insieme struttura religiosa (la chiesa), conventuale (il monastero col chiostro), difensiava (il campanile e la piccionaia) e produttiva (la grande aia con le barchesse). L’intima connessione di queste funzioni ha consentito al complesso di resistere alle offensive della storia per più di mille anni», «con la sua struttura autarchica, l’abbazia doveva in origine apparire come un avamposto della civiltà, circondato dalla desolante campagna spopolata e incolta», «il convento e la struttira agricola produssero la ricchezza necessaria per le numerose ricostruzioni della chiesa e la realizzazione di tutte le opere d’arte che l’abbelliscono».

Da qui passò anche passò Napoleone, durante le sue guerre per conquistare l’Europa; tra le colonne della chiesa allestì un ospedale da campo dove lasciò a morire più di quattrocento soldati, che vennero seppelliti nei pressi della chiesa, probabilmente in una grande fossa comune nel prato che la circonda; un episodio interessante e considerata la grande varietà di opere che questa piccola abbazia custodisce si può pensare che ne custodisse molte altre e che l’imperatore, come fece in altri casi, le prese per se, per abbellire i suoi palazzi eper dimostrare la sua forza e grandezza.

Durante il XX secolo vengono effettuati i restauri degli affreschi di scuola giottesca del ciclo di San Benedetto e degli edifici dell’aia e della “curtis monastica” (corte monastica), che comprende il granaio, la piccionaia e la foresteria, come abitazioni private, «modifiche inevitabili volute dal tempo e dagli uomini».

Re Daniele 20-08-12

















Lecco città

Il coro Elikya allo stadio Rigamonti-Ceppi per la "Giornata della famiglia"

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Milano, piazza Duomo contro tutti i razzismi

*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

Milano, piazza Duomo contro tutti i razzismi


Razzismo e xenofobia sono le parole nere che hanno segnato la nostra società dacché era appena nata. Nero il fumo, nere le ceneri e la terra, neri gli animi. Troppo è il nero che ci portiamo dietro; per spezzarlo, per esorcizzarlo ci vogliono tutti i colori dell’arcobaleno che, come un lungo filo d’Arianna, unisce tutti in un grande abbraccio, una grande dichiarazione di intenti che oltrepassa il merito storico guardando alla vita di oggi e mano nella mano intonare un inno di gioia.

Martedì ventuno marzo in piazza del Duomo a Milano ha avuto luogo la manifestazione contro tutti i razzismi, alla quale hanno partecipato gli studenti di numerose scuole della provincia alla presenza dei rappresentati delle istituzioni, del vicesindaco di Milano e dei dirigenti delle associazioni contro razzismo, xenofobia e intolleranza attivi a livello regionale e nazionale, il tutto accompagnato dalle bande di Affori e Crescenzago.
Vi era anche un piccolo gruppo di africani, in rappresentanza della multirazzialità e multiculturalità presenti nella città e nella società odierna in generale.
Ma non tutti erano presenti a questa manifestazione di interesse pubblico e sociale, alla quale non avrebbero dovuto partecipare solo chi  ha responsabilità, come le forze dell’ordine e le istituzioni o chi in futuro dovrà far sì che certi avvenimenti non si ripetano, cioè i giovani studenti, ma anche tutti coloro che sono toccati da questo fenomeno violento e inutile.
Le parole del discorso del vicesindaco e degli altri esponenti delle associazioni sono state ascoltate da una piazza del Duomo cinta dagli studenti che, prendendosi per mano, ne lasciavano completamente vuoto il centro, occupato delle bande musicali.
Ciò che emerge dall’analisi fatta ed espressa con rammarico è che ancora oggi ci sono espressioni di intolleranza e che le lezioni della storia non sono servite e che la gente ha ancora paura e ancora discirmina il diverso.
Il discorso ha visto l’alternarsi dei rappresentati delle associazioni e delle forze di polizia che hanno ricordano gli ultimi casi di cronaca e che la prima arma contro il nascere e lo svilupparsi di queste intolleranze è l’educazione nelle scuole, dove i bambini devono essere sensibilizzati e introdotti in una società fatta anche da queste differenze culturali e razziali. Una convivenza civile e pacifica è possibile, purchè tutto sia svolto nella legalità e nel rispetto reciproco di pensieri e tradizioni.
I molti studenti presenti in piazza del Duomo ai quali sono state distribuite le magliette della manifestazione, rigorosamente bianche con la scritta “Milano contro tutti i razzismi” colorata e ben visibile, hanno visto cominciare la manifestazione con le bande che hanno suonato l’inno di Mameli in onore delle forze dell’ordine garanti della sicurezza e delle istituzioni presenti, compresa quella scolastica, in virtù del fatto che l’Italia si impegna all’accoglienza. L’inno nazionale è stato seguito dalla nona sinfonia di Beethoven, l’Inno alla Gioia, mentre le magliette sono state consegnate anche ai testimonial, calciatori e rappresentanti della comunità africana milanese, garanti delle parole dei discorsi tenuti e degli impegni morali presi.
Con l’espresione “contro tutti i razzismi” non s’intende solo l’intolleranza tra bianchi e neri, come nel gioco degli scacchi, ma anche tra bello e brutto, tra abile e disabile.

Re Daniele 13-04-12

Venezia, tra vecchio e nuovo - Pasqua 2012

Venezia, tra vecchio e nuovo
https://rephotowriter.wordpress.com/2018/08/14/venezia-tra-vecchio-e-nuovo/

Una città verde


https://rephotowriter.wordpress.com/2018/12/29/milano-una-citta-verde/


Lezioni di antropologia culturale: Il Coro Elikya

https://rephotowriter.wordpress.com/2019/04/14/lezione-di-antropologia-culturale-il-coro-elikya/

Il fiume Adda - 2011-12

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Il fiume Adda

I problemi del paesaggio italiano sono tanti, forse ci siamo lasciati prendere la mano da un mito economico, modero e tecnologico che impone di elevare imponenti strutture verso l’alto occludendo la vista del sole e scavare nella terra togliendo spazio alle radici degli alberi per poi soffocarle con l’asfalto.

Questo mito è come un bambino non svezzato che esaurisce egoisticamente tutte le risorse a sua disposizione, assimilandole con ingordigia senza mai saziarsi pur non avendo fame.

Che motivo c’è di costruire nuove abitazioni e edifici quando ne esistono molti abbandonati e che aspettano solo di essere riutilizzati.

Qui non si sta demonizzando tecnologia e progresso né tanto meno elevando una vita totalmente agreste; le città sono importanti per gli uomini cosi come le fabbriche, le industrie e le infrastrutture per il trasporto degli uomini e dell’energia; anche il contatto con la natura è importante per l’uomo, non solo perché tre da essa le materie prime per il suo sostentamento, ma anche perché l’uomo è sostanzialmente un animale e ha bisogno di essa per il suo benessere.

Per fortuna da qualche parte c’è ancora un po’ di natura.

Il punto è che bisogna prestarci attenzione.

L’elemento umano dovrebbe essere come un nastro di raso che si adagia morbidamente sulle curve del territorio, piuttosto che un’imponente lavoro di ingegneria capace di livellare le valli.

Camminando sulle rive del fiume Adda mi sono accorto di una cosa: che la luce è più suadente sulle foglie degli alberi sui muri dei palazzi.

Re Daniele 5-11-12