mercoledì 6 agosto 2014

Su di un treno



12-05-14

Su di un treno

Salgo sull’ultimo vagone della metrò verde a Porta Garibaldi, in direzione Loreto. Il vagone non è affollato. Sono le ore sedici e venti di domenica undici maggio, vi è abbastanza gente per avere una sintesi visiva dei molti ‘tipi’, o ‘stili’, o ‘generi’ di persone che vivono la città di Milano, nostra grande metropoli, come il resto delle altre nostre città, paesoni e paeselli.
Il vagone è uno di quelli ‘vecchio modello’, senza aria condizionata, uno di quelli che può formare un treno solo se agganciato ad altri vagoni simili, non come quelli ‘nuovo modello’, che sono un unico convoglio, un unico grande tubo digerente oligocheto.
L’elenco delle varie umanità sarebbe lungo e i molti particolari che ricordo non sono sufficienti a descrivere tutto ciò che vedo. Ma non è tanto importante cosa, come, o quanto vedo, poiché questa materia siamo noi tutti i giorni, sono tutti i nostri giorni.  Piuttosto è la domanda pungente che questa visione mi suscita: se fossi salito su un’altra carrozza avrei visto qualcosa di differente rispetto a quella manciata di persone, diversi per gli abiti, ma omologhi nei volti? Avrei trovato qualcosa di dissimile da quella stessa manuale tecnologia? E dalle cuffie per la musica? Dagli occhiali a specchio? Dalle scarpe parigine? Da quegli abiti da flaneur contemporanei? Da tutti quei tatuaggi simbolici ed evocativi? Da quelle stesse 'delicatezza' e 'rudezza' sapientemente miscelate in vistosi particolari? Da quel è 'così' perché è 'così'? Da quel è 'bello' perché è 'bello'? Di quelle stesse conversazioni di lavori fastidiosi e tedi, di indisposizioni tra amici, di litigi tra amanti, di confidenze tra sconosciuti, di affettuosi saluti e stucchevoli fiumi di baci.
Treno, chi mai potrà sciogliere la mia domanda?
Ma alla fine, cosa siete tutti voi e cosa siamo? Solo dei nomi l'un per gli altri. Solo leggera presenza, solo un'immagine di passaggio nella vita degli altri. Cos'è un nome? E cos'è un'immagine? Siamo un'accozzaglia arbitraria di singoli elementi privi di per sé stessi di un significato. Siamo solo una sequenza ordinata di suoni alla quale, senza apparente motivo, attribuiamo profonde e profondissime immagini.

sabato 26 luglio 2014

Lo spettacolo in ferrata



4 Luglio 2014




Monte Due Mani, ferrata Simone Contessi, Torrione della discordia, molto difficile, per escursionisti esperti, CAI di Lecco, sezione di Ballabio.


Assisto allo ‘spettacolo’ di mio fratello che arrampica sulla parte lungo la via ferrata. È stato, forse, il vedere e rivedere le stesse ‘straordinarie’ immagini di spettacoli patetici in tv, o sullo schermo del pc, o su uno di quegli innumerevoli e portatili, che mi ha procurato quella sensazione di déjà vu di quell’infinito movimento statico e domestico che è la visione in connessione. È stata una sensazione strana: io ero lì, seduto, seduto su di un comodo sasso a mirare il silenzioso panorama di Lecco e di tutta quanta la Brianza dall’alto e di una delle sue valli; mio fratello era là, ad arrampicare sulla parte di roccia, sempre più distante, sempre più un puntino, sempre più adeso e parte del torrione. Da qui non c’è pericolo, il vuoto e la gravità non si percepiscono: sento che il palpito patetico del legame fraterno si affievolisce.


Se dovesse succedere qualcosa cosa farei? Ed ecco alla mente comparire alcune immagini di impossibili ed eroici salvataggi folli.


I miei piedi sono saldi e lui continua a salire tranquillamente in verticale, fino a quando una grossa sporgenza costringe la via a proseguire verso destra, lì sotto c’è un’ombra profonda e scura e mio fratello, vestito in chiaro e rosso, vi si sovrappone: è il momento perfetto per scattare la foto.

venerdì 4 luglio 2014

Gente, tutto quel che c'è



Gente, tutto quel che c’è


“le facce non proclamano opinioni, non esprimono critiche, dicono solo: “così siamo nella vita vera e ne non ti piace non lo voglio sapere perché vivo la mia vita a modo mio e che Dio ci benedica tutti, forse”…“se ce lo meritiamo”…
Jack Kerouac, prefazione a Gli americani di Robert Frank.

La street photography è uno strumento di indagine dei molteplici aspetti del vivere comune, una pratica che richiede etica giornalistica e senso critico nella comunicazione e divulgazione di una cultura condivisa. Il fotografare, attività diffusa e democratica, deve rimanere libero da costrizioni e impedimenti come spiega Vincenzo Cotinelli nella sua interpretazione delle leggi vigenti – principi costituzionali, Legge n.633, Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 – che regolano la fotografia di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico: ripresa, utilizzo e pubblicazione.
Questa esposizione nasce dalla volontà di immortalare istanti emblematici delle attività svolte dall’uomo nella sua quotidianità, con lo specifico riferimento alla dimensione sociale. Si è scelto di suddividere gli scatti seguendo i diversi lavori di reportage svolti, corredando alcuni di questi con testi scritti dall’autore stesso.
Per quanto lo scatto fotografico possa essere considerato un gesto comune e di attuazione immediata occorre riflettere e considerare il fatto che mediante questo medium si compie un’operazione che porta ad un duplice risultato: da una parte viene decretata la “morte” del soggetto e dell’istante attraverso la cattura dello sguardo, dall’altra, proprio per questo, ne viene sancita l’immortalità e il perdurare dell’attimo catturato nel flusso del tempo, da ciò deriva che ad ogni fotografia ne seguirà un’altra arbitrariamente scelta in virtù dei rapporti fra i loro significati.
Ogni fotografia sta a rappresentare non già un valore universale ma un locale punto di interesse quotidiano all’interno delle logiche sociali in evoluzione costante, perciò una pratica che non avrà mai fine, sempre giustificata nella sua necessità di documentare data dalla stessa forza che genera il movimento di cambiamento: cambiano l’ambiente e il paesaggio sociale, cambiano le attività, le abitudini e i gesti, cambiano le emozioni, le facce e le mode.
Le fotografie non sono opere d’arte con un valore e un senso in quanto tali e prese singolarmente, ma immagini che acquistano senso se inserite in un contesto di congiunzione e confronto tra di loro e con tutti gli altri testi prodotti dalla società.

Il percorso delle fotografie cerca di definire l’ambiente locale nel suo dove, chi, e come con le fotografie di Lecco città - http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/la-mia-lecco.html - Lecco diario II - http://rephotowriter.blogspot.it/2013/11/lecco-diary-part-ii.html - Lezioni di antropologia culturale: il coro Elikya - http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/lezioni-di-antropologia-culturale-il.html - Dove stiamo andando? - http://rephotowriter.blogspot.it/2013/01/dove-stiamo-andando.html - Milano, piazza Duomo contro tutti i razzismi -  http://rephotowriter.blogspot.it/2012/10/milano-piazza-duomo-contro-tutti-i.html e ‘N’tool Legoon - http://rephotowriter.blogspot.it/2014/01/monte-legnone.html.

Testi, fotografie ed esposizione sono stati realizzati tutti dall’esordiente Re Daniele in collaborazione con il circolo PD di Galbiate che ha gentilmente concesso lo spazio in occasione della festa democratica di Sala al Barro al centro sportivo al Marè.
L’apertura dell’esposizione è prevista per giovedì 10 luglio alle ore 18.30.
Le foto resteranno esposte al tendone della festa democratica per i giorni dal 10 al 13, il 16, dal 18 al 20 e dal 25 al 27 del medesimo mese.

Si ringraziano Matteo Riva per la selezione dei testi e Matteo Losi per il progetto grafico.

lunedì 30 giugno 2014

Henry Peach Robinson

Henry Peach Robinson

Henry Peach Robinson  nacque a Ludlow il 9 luglio 1830, morì a Tunbridge Wells il 21 febbraio 1901, fu un fotografo britannico, esponente attivo del movimento pittorialista e sperimentatore della tecnica del fotomontaggio, che utilizzò in tutta la opera. Raggiunse la celebrità nel 1858 con la foto, fortemente simbolica, intitolata Fading Away: dove sono rappresentati il fidanzato, la madre e la sorella mentre circondano il letto di una fanciulla morente.
Iniziò la sua professione come libraio, ma, influenzato dal’opere del pittore William Turner, si interessò di pittura e nel 1850, guidato da Hugh Diamond, scoprì la fotografia a cui si appassionò talmente tanto che nel 1857 abbandonò l’attività libraia per aprire un laboratorio fotografico, nel quale si occupò del ritocco fotografico dei ritratti,  a cui applicava il colore o ne correggeva le imperfezioni direttamente sul positivo. Insoddisfatto della resa delle pellicole, utilizzò estesamente la tecnica del montaggio di più fotografie esposte diveramente per le luci e per le ombre, così da rendere correttamente i toni del paesaggio.
Una delle tecniche più usate all'epoca era quella all'albumina, dove un composto di albume d'uovo e nitrato d'argento veniva spalmato su una lastra di vetro, questa emulsione, come altre tra le prime, era più sensibile alla luce blu, la quale si imprimeva più rapidamente, motivo per cui risultava indispensabile il fotomontaggio in fase di stampa.
Fu uno dei membri fondatori del circolo fotografico Linked Ring Brotherwoow, e un membro della Compagnia d'Onore della Royal Photographic Society. Robinson fu tra i più noti ed influenti pittorialisti inglesi, non solo  per il suo contributo tecnico, ma anche  per i numerosi saggi teorici incentrati sul tentativo di dimostrare il valore artistico della fotografia a confronto con la pittura. Nei suoi libri Robinson  spiega le tecniche per fare fotografie artistiche e dice di non esitare a ritoccare quando è necessario.
Si sposò nel 1859 ed in seguito affermando che prima è la fotografia, poi la moglie.
Nel 1864 abbandonò la pratica di fotografo per i problemi di salute causati dai chimici utilizzati nel processo fotografico. Mantenne comunque vivo il suo interesse pubblicando nel 1869 il saggio Pictorial Effect in Photography, Being Hints on Composition and Chiaroscuro for Photographers e Picture-making by photography.

La sua progettualità consisteva nella lenta e scrupolosa elaborazione di scene e  soggetti a partire da disegni e schizzi preparatori, per passare poi alle precise ripresi dei soggetti in posa e l’accurato montaggio in camera oscura col fine di ottenere immagini complesse, elaborate e precisamente composte nelle loro linee e volumi. I temi da lui trattati erano realistici, in conformità con la moda del tempo. Attraverso il fotomontaggio eliminava le perdite di nitidezza ai bordi degli obiettivi e restituiva immagini nitide in tutta la loro superficie. Come ultima fase passava alla rifinitura con tinta e pennello per correggere le imprecisioni.
Robinson è stato anche uno dei combattenti per il riconoscimento della fotografia come forma d'arte a tutti gli effetti. Nella disputa tra fotografia – tecnica e fotografia – arte questa era considerata dai più come un  semplice strumento di riproduzione, a causa dei procedimenti meccanici richiesti.
Lo scopo del movimento pittorialista fu quello di  elevare il mezzo fotografico al pari della pittura. I pittorialisti usavano  tecniche e processi che rendevano l'immagine simile ad un disegno, come la stampa alla gomma bicromata o al bromolio, gli obiettivi soft-focus o la stampa combinata di più negativi su di un unico positivo. Essi preferivano il procedimento della calotipia, nel quale la superficie della carta rendeva confusi i dettagli piuttosto che le tecniche di ripresa su lastra di vetro.