lunedì 15 ottobre 2012

Abbazia di Villanova a San Bonifacio

Le note tra «…» sono prese dai testi esplicativi presenti nell’abbazia, scritti da Luigi Dalli Cani, Angelo Sofia e dal “Invito alla visita” (un foglio giallo pegato in due e stampato su ambo i lati) che non reca il nome di chi l’ha scritto


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A volte non si pensa a quanta storia ci sia dietro alle cose e ai luoghi, qui di seguito potrete leggere dell’abbazia di Villa Nova a San Bonifacio: questa chiesa, sperduta verrebbe quasi da dire, è custode di una bellissima e ricca storia, quella della campagna che scorre tranquilla e palcida, ma senza posa. Tra reperti archeologici dall’aspetto quasi magico, tra brandelli delle fondamenta del nostro passato, più antico e più recente (la struttura contiene un piccolo museo della I° Guerra mondiale) e tra piccoli esempi di un’arte europea che percorre la storia dal medioevo fino alle guerre napoleoniche spicca il “piede del viandante”, il pellegrino instancabile.



La fugace immagine del possessore di quell’orma illumina la vista e rimanda il pensiero ad altro, forse inscibile e insondabile, che immerso in una natura brumosa e chiara avanza con passo deciso verso la sua meta. “Quale?”
È possibile che una risposta incompleta ma soddisfacente la si trovi nell’osservazione delle fondamenta “non fondamenta”, visibili sul retro della costruzione in quello che sembra un piccolo anfiteatro o nella vecchia piccionaia o nel granaio o la grande aia, ora ristrutturate e ammodernate, che attraverso un sistema di simboli architettonici che si ripetono nelle varie epoche e nei vari stili senza stravolgimenti, costituiscono un’ampia visione a tutti riconoscibile del nostro passato.

L’odierna abbazia di Villanova a San Bonifacio sorge sui resti di un antico tempio paleocrestiano edificato nel 763 d.C. da S. Anselmo del Friuli, lungo la via cosolare romana “Postumia”, poi distrutto dal terremoto del 1117, che demolì e danneggiò molti edifici in muratura presenti in tutta la pianura padana, eliminado gran parte delle architetture paleocristiane, carolinge e preromaniche, cosi favorendo lo sviluppo dello stile romanico.

Di questo periodo sono visibili nella cripta pochi ma interessanti repeti, dei quali solo il pluteo risulta essere leggibile in tutto il suo simbolismo e mistero.

Nel 1131 l’abate Umberto dei Conti di San Bonifacio fece ricostruire l’intera struttra sulla base di resti paleocristiani (i quali non avevano fondamenta) in stile romanico e dotandola anche di una torre che fingueva da vedetta e non da torre camaparia; fu l’abate Guglielmo da Modena nel 1410 che la ristrutturò con aggiunte in stile gotico, come le trifore, la cuspide e i pennacchi e la dotò della cella campanaria, mutando la sua funzione da vedetta a campanile, mentre sulla facciata fece inserire il rosone.

Dei primi decori della nuova chiesa sono sopravvisuti al tempo, grazie anche ai restauri, alcune delle “Scene della vita di San Benedetto”, degli affreschi di scuola giottesca attribuiti a Martino e Jacopo da Verona, risalenti al XIV° secolo.

In questo periodo, soprattuto nel primo medioevo, era molto diffuso il fenomeno del pellegrinaggio sulle strade del cristianesimo e questa abbazia, situata a metà strada ta Verona e Vicenza, rappresentva un punto si sosta, con la foresteria e il luogo di culto. Di questo fenomeno è rimasto presente il simbolo del “piede del viandante”, inciso su alcune colonne della chiesa.

Altro importante reperto è l’ancona lapidea raffigurante San Pietro in cattedra.

Tra il 1562 e il 1771 i monaci Olivetani apportarono modifiche e aggiunte in stile barocco, come le statue che sormontano la facciata, gli angeli della navata centrale e lo scalone che collega questa al presbiterio e infine coprendo il vecchio soffitto a capriate lignee con le più moderne volte a vela.

Del XV° secolo è la Pietà in pietra dipinta di Egidio di Wienernestadt, scultura tipica dell’arte nord europea a cui i popoli germani sono particolarmente legati e che per tale motivo durante la II° Guerra mondiale fù nascosta dietro un finto altare in resturo da Don Giuseppe Ambrosini, il quale, accortosi dell’interesse di alcuni soldati che passarono per la chiesa, decise di attuare questo stratagemma per evitare che altri nazisti interessati la portassero via.

L’abbazia di Villanova «è insieme struttura religiosa (la chiesa), conventuale (il monastero col chiostro), difensiava (il campanile e la piccionaia) e produttiva (la grande aia con le barchesse). L’intima connessione di queste funzioni ha consentito al complesso di resistere alle offensive della storia per più di mille anni», «con la sua struttura autarchica, l’abbazia doveva in origine apparire come un avamposto della civiltà, circondato dalla desolante campagna spopolata e incolta», «il convento e la struttira agricola produssero la ricchezza necessaria per le numerose ricostruzioni della chiesa e la realizzazione di tutte le opere d’arte che l’abbelliscono».

Da qui passò anche passò Napoleone, durante le sue guerre per conquistare l’Europa; tra le colonne della chiesa allestì un ospedale da campo dove lasciò a morire più di quattrocento soldati, che vennero seppelliti nei pressi della chiesa, probabilmente in una grande fossa comune nel prato che la circonda; un episodio interessante e considerata la grande varietà di opere che questa piccola abbazia custodisce si può pensare che ne custodisse molte altre e che l’imperatore, come fece in altri casi, le prese per se, per abbellire i suoi palazzi eper dimostrare la sua forza e grandezza.

Durante il XX secolo vengono effettuati i restauri degli affreschi di scuola giottesca del ciclo di San Benedetto e degli edifici dell’aia e della “curtis monastica” (corte monastica), che comprende il granaio, la piccionaia e la foresteria, come abitazioni private, «modifiche inevitabili volute dal tempo e dagli uomini».

Re Daniele 20-08-12