sabato 13 ottobre 2012

David Bate, Il primo libro di fotografia

*ATTENZIONE: il presente articolo e le foto correlate possono essere utilizzati solo per fini didattici  e informativi,  non commerciali ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

Gli elementi racchiusi tra «» sono citazioni prese direttamente dal libro “Il Primo Libro di Fotografia” di David Bate.

Qui vengono riportati estratti dei primi due capitoli e dell’ultimo; questo breve riassunto serve a dare un’idea di quel che sta dietro ad una pratica cosi diffusa e apparentemente semplice.

Introduzione:

«Particolari caratteristiche e combinazioni di elementi (personaggi, illuminzione specifica, colori, immagine, ecc.) vengono usate per aiutare lo spettatore a comprendere di che tipo di genere si tratti. Se questa affermazione può sembrare un po’ laboriosa, è perché tendiamo a “leggere” ogni cosa in modo cosi automatico che pensarci è quasi penoso».

«Ogni genere crea un’attesa per i tipi particolari di interpretazione. Che poi la fotografia gratifichi qull’attesa è un altro paio di maniche».

«I generi  sono percorsi che evolvono e si sviluppano o si trasformano in ibridi», ad esempio «il “documento” è quasi certamente un’invenzione della fotografia».

«L’arte, anche attraverso la fotografia, è mutata nel suo modo di guardare a ciò cui gli artisti-fotografi sono interessati in quanto loro soggetto».

Questo test è una breve introduzione alla teoria della fotografia attuata attraverso l’analisi dei divesri generi e della loro evoluzione nella storia.

Storia:

 «“Con i suoi utensili l’uomo perfeziona i propri organi – quelli di moto al pari di quelli di senso – o rimuove gli ostacoli che ne limitano l’azione. I motori gli mettono a disposizione forze enormi che, al pari dei suoi muscoli, può utilizzare in qualsiasi direzione; la nave  e l’aereo fanno sì che né l’acqua né l’aria possano ostacolare i suoi movimenti. Grazie agli occhiali corregge i difetti della lente che c’è nel suo occhio, con il cannocchiale vede in lontananza, con il microscopio supera i confini che la struttura della sua retina pone alla visibilità. Con la macchina fotografica ha  creato uno strumento che fissa le impressioni fuggevoli della vista, mentre il disco fonografico svolge lo stesso ruolo per quelle altrettanto transitorie dell’udito: in entrambi i casi si tratta in fondo di materializzazioni della facoltà a lui propria di ricordare, quindi della memoria.” Sigmund Freud.

Dunque la fotografia ha cambiato il modo in cui si raccolgono e ricordano le esperienze; il problema fondamentale però è identificare la narrazione, il che dipende da quale domanda ci si pone all’inizio dell’analisi storica: «Le fotografie e i fotografi sono astratti da tutto fatta eccezione per il loro immediato background, e vengono giudicati in base al gusto estetico (buono, o magari cattivo)».

Questa affermazione deve far riflettere sulla genesi del lavoro fotografico e sulle sue motivazioni: esso viene influenzato da tutta una serie di cause, conoscenze ed esperienze del fotografo. Capire questo significa identificare un primo problema nella decifrazione della fotografia: le persone sono diverse e hanno sensibilità diverse di fronte alla realtà, che è la stessa per tutti, ma di cui ognuno ha la sua visione.

«Gli individui esistono comunque nella storia. Esistono nel tempo in cui vivono».

«“Gli uomini fanno parte della storia, ma non lo fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”. Karl Marx».

L’uomo agendo prende una posizione nei confronti degli eventi storici di cui è testimone e che lasciano in lui una traccia della loro esistenza.

Cosa c’entra questo discorso sull’agire dell’uomo con la fotografia? Questo serve a mettere in chiaro che l’uomo possiede per sua natura una propria volontà, la quale giustifica il suo agire ed è da questa volontà che parte l’analisi teorica della fotografia, in quanto il fotografare è soggetto alla volontà di chi compie questo atto ed è una dichiarazione e una presa di posizione di fronte a ciò che si vede.

Fotografia come Discorso:

«“La fotografia in quanto tale non possiede identità”, afferma John Tagg facendo suo il concetto semiotico secondo il quale il significante fotografico (la foto) ha un significato (senso) solo all’interno dei discorsi portatori di significato che lo impiegano» (cioè l’utilizzo della fotografia come illustrazione).

«Quindi la storia consiste nel discutere le relazioni delle fotografie con i discorsi che le hanno utilizzate»; la fotografia diviene un oggetto della storia, che porta con sé un significato «a proposito del quale noi dovremmo porci delle domande circa le condizioni della» sua «produzione», perché «le fotografie codificano “significati” e noi dobbiamo chiederci qual è il valore di questa rappresentazione».

Come dimostrato da Roland Barthes la lettura di una fotografia (lo studium) è sempre condizionata dalla propria cultura, dalla propria ed esperienza; il ché significa che per ogni fotografia non c’è una data interpretazione, il significato non è mai completamente noto poiché deriva da diversi sistemi di segni che appartengono a individui diversi, cioè l’intenzione dell’operatore che ha scattatto la foto e il sentimento di chi la sta osservando.

In quest’ottica «abbiamo bisogno di conoscere le circostanze di una fotografia sia per una storia della fotografia sia per l’uso delle fotografie come storia».

Teoria della Fotografia:

«Non esiste un modo che non sia teorico di vedere la fotografia.

Ciò che chiamiamo tecnica è in realtà teoria messa in pratica: la conoscenza di come e quali significati possono essere ottenuti con un’attrezzatura fotografica.

La teoria della fotografia consiste nel metodo o nei mezzi necessari a una comprensione sistematica del suo oggetto.

Di che tipo di teoria necessita la fotografia? In altre parole, quali problemi solleva la fotografia?».

Bate riconosce tre fasi dell’evoluzione del pensiero legato alla fotografia e quindi tre diverse fasi dell’evoluzione della teoria: l’estetica vittoriana; la riproduzione di massa degli anni Venti e Trenta del XX secolo; gli anni Sessanta e Settanta della democratizzazione e ampliamento dell’arte e dei fenomeni culturali.

«I governi sanno benissimo quanto potenti possano essere le immagini fotografiche, nel loro controllo delle immagini pubblicitarie.

Sebbene molti di noi incontrino probabilmente decine di immagini fotografiche praticamente ogni giorno, è facile dimenticare l’impatto che hanno su di noi.

L’analisi critica di simili immagini può aiutarci a svelare qualcosa circa il modo in cui vediamo noi stessi (e il modo in cui non vediamo noi stessi), la nostra ideologia, la conoscenza pratica alla quale attingiamo per vivere: i nostri valori e ciò in cui crediamo».

Teoria della Rappresentazione:

«Il filosofo francese Louis Althusser sosteneva che l’ideologia viene trasmessa innanzitutto attraverso “immagini, miti, idee o concetti”, in modi a cui non prestiamo attenzione.

L’ideologia è riprodotta attraverso i modi in cui una società si rappresenta di fronte a se stessa – ciò che la gente sostiene essere il “senso comune”».

Il primo teorico che sviluppò una forma di pensiero e di analisi della fotografia la più completa, precisa e che fosse in grado di arrivare al cuore della sua significazione fu Roland Barthes grazie alla semiotica.

Semiotica:

La semiotica è un metodo di analisi che deriva dalla semiologia, l’analisi del linguaggio col fine di scoprire la grammatica delle forme di comunicazione e del linguaggio stesso; questo metodo ha portato Barthes ha scrivere molti testi nei quali analizza diversi sistemi di significazione presenti nella società di massa (Miti di Oggi), oltre alla sua attività di critico letterario.

La Camera Chiara (scritto alla fine della sua vita, 1979) è un distacco di Barthes dalle sue idee precedenti in quanto il punto di partenza del suo pensiero è la fenomenologia che guida la fotografia (piuttosto che la semiotica); comunque sia egli non può prescindere dalla sua teoria che ha verificato per anni, così l’analisi dei segni trova spazio anche in questo testo.

La semiotica è lo studio del sistema dei segni: Barthes sostiene che sistemi come il cibo, i mobili, la moda, la pubblicità e altri che si possano trattare come dei linguaggi. «Il progetto» di Barthes «aveva lo scopo di identificare le regole fondamentali in grado di attivare una pratica (parole), così come le regole degli scacchi permettono ai giocatori di dar vita a una partita.

[…]

Ferdinand de Saussure, affermò che il linguaggio è un sistema organizzato di segni che noi facciamo funzionare in modo che esso sia in grado di rappresentarci nella cultura umana. Nessuno di noi “possiede” un linguaggio, tutti noi ne facciamo uso».

Saussare afferma che ogni segno o elemento che compone il linguaggio acquista senso e significato dalla sua differenza rispetto agli altri (ovvero per contrasto), non dall’oggetto che nomina.

Il Segno linguistico è formato dalla  somma del Significante col Significato.

«Il significante è l’aspetto materiale del segno: un’immagine, una parola scritta, un suono articolato. Il significato è l’immagine mentale a cui si fa riferimento, l’idea o concetto».

Saussare isolò l’operazione intelligente che il linguaggio attua per “fissare” la realtà; egli capì che il modo in cui utilizziamo il linguaggio “naturalizza” la nostra relazione con gli oggetti della realtà.

«Il linguaggio non è un riflesso passivo del “mondo vero”; è il modo in cui noi giungiamo a rappresentarlo e a vederlo come “realtà”».

Pertanto il modo in cui si attribuisce senso ad una fotografia, quello che si scopre al suo interno mediante l’osservazione, dipende dal sistema di riferimento che possiede chi la osserva, poiché il linguaggio è una continua concatenazione di significati che porta ad una conoscenza più ampia.

Codici Fotografici:

«I codici che ci sono familiari permettono la trasmissione dei messaggi, che chi osserva “legge” in modo tale da generare senso».

Ora Bate passa ad elencare i vari codici che vengono utilizzati nella lettura e comunicazione delle immagini fotografiche.

I codici fotografici sono quelli che portano maggiori variabili alla lettura dell’immagine: ad esempio «il volto è una delle più complesse unità di significazione del linguaggio del corpo».

L’illuminazione è a sua volta ugualmente codificata: la direzione, il tipo di luce e la relazione che ha con il soggetto, hanno un proprio significato in relazione agli altri elementi dell’immagine.

In fotografia l’illuminazione contribuisce alla comunicazione dei codici, secondo Bate questi codici sono tonali, iconici, del gusto e retorici.

La Retorica:

«E’ la retorica a esser stata più sviluppata all’interno di una semiotica della fotografia, senza dubbio perché la retorica è la disciplina che può aiutare a fornire una sintesi dei modi in cui tutti i fotografi organizzano i loro discorsi».

Retorica: Arte e tecnica del parlare e scrivere con efficacia persuasiva, secondo sistemi di regole espressive varie a seconda delle epoche e delle culture. Modo di scrivere o di parlare pieno di effetti esteriori e di ampollosità, ma privo di autentico impegno intellettuale e di contenuto effettivo. Insistenza formale e superficiale in gesti, forme di vita, esaltazione di valori. Vocabolario della lingua italiana Zanichelli.

In questo senso la retorica è fondamentale per la costruzione del senso delle immagini.

Come sosteneva Victor Burgin il senso di ciò che vediamo e recepiamo deriva dalla “nostra conoscenza comune della tipica rappresentazione di fatti sociali e valori prevalenti”.

Questo significa che ciò che leggiamo in una fotografia deriva dalla nostra cultura di appartenenza a cui si sommano le esperienze personali, come lo studio, l’esperienza o la fruizione di altre immagini creano un sistema di riferimento visivo e codificato che abitualmente su utilizza per osservare e comprendere l’ambiente circostante.

Il “Linguaggio” della Fotografia:

Il linguaggio della fotografia, secondo Andrè Bazin, serve “alla creazione di un universo ideale a immagine del reale e dotato di un destino temporale autonomo”.

«Se prestiamo attenzione alla differenza tra la fotografia e l’oggetto realmente rappresentato, possiamo iniziare a evidenziare ciò che la fotografia arreca allo spettatore.

Mentre il realismo abbraccia l’idea che il significante» (la fotografia, il soggetto che essa rappresenta) «sia uguale al significato» (la “realtà”), «la semiotica prende avvio dalla differenza fra i due. Si può dire che nel realismo il significante è sparito all’interno del significato, di modo che noi vediamo solo l’oggetto».

Col realismo la nostra possibilità di azione è limitata al solo guardare e riconoscere il soggetto della foto, non ci è consentito leggerlo e interpretarlo; la semiotica ci da questa possibilità.

Punti di Vista:

Ora questi segni e codici dei linguaggi presenti all’interno immagine devono essere letti e analizzati; a differenza del linguaggio parlato o scritto i codici della fotografia non sono vincolati al tempo o all’ordine in cui vengono letti, essi ci arrivano simultaneamente; sarà la nostra cultura a riconoscere alcuni elementi significanti (nell’immagine) e significativi (per noi) e a far partire l’analisi.

Connotazioni – Il Significato Culturale:

«Ogni elemento retorico presente nella foto contribuisce a modo suo all’espressione del significato. La mia identificazione con la scena può portarmi a dimenticare che sto guardando una fotografia e che quella scena deve aver avuto luogo, è esistita veramente, perché è reale nella mia mente. Eppure, che prove ho di questo? Riflettendoci, la fotografia ha poco in comune con quello che mostra.

Di fatto ciò che vediamo ci dice poco rispetto alla realtà.

C’è qualcosa nella fotografia che fornisca delle prove in un senso o nell’altro? Si potrà mai conoscere la verità?

Una fotografia media il significato, il realismo è differente dalla realtà».

Realismo e Realtà:

«La realtà è ciò che crediamo esista, mentre il “realismo” è il modo di rappresentazione che sostiene questa realtà.

Il realismo di un’immagine corrisponde a un preconcetto di realtà. Il punto è che solitamente ogni immagine viene testata rispetto a supposizioni e conoscenze preesistenti rispetto al mondo. La lettura di ogni fotografia coinvolge già la valutazione di quanto la foto sia credibile o plausibile.

La misura in cui una fotografia corrisponde a preesistenti concezioni della realtà ha in parte a che fare con quanto essa corrisponda a preesistenti credenze rispetto alla “realtà”. Le fotografie sono valutate e testate  a confronto con queste credenze fin dall’atto della percezione, rispetto a come io già vedo il mondo. Il mondo è così perché è così che appare. Ma può apparire diverso e ciò dipende da come viene fotografato.

In un certo senso, uno dei concetti involontari della fotografia – il suo inconscio – è che il fotografo fornisce anche un punto di vista “privilegiato” (una realtà non mediata).

Che lo spettatore senta di poter condividere questo privilegio, il punto di vista di ciò che viene visto, è uno degli aspetti miracolosi della fotografia.

Questa rimane una delle caratteristiche ideologiche centrali della fotografia – il senso di veracità che rivendica e organizza. Perciò è importante ricordare che c’è una differenza implicata nelle fotografie. Ciò che il realista dà per scontato  come “realtà”, la semiotica sostiene sia costruito attraverso un discorso fotografico, di codici.

Tuttavia, questo non è un procedimento statico. I significati non sono “immobili”».

Poststrutturalismo:

«Quello che Roland Barthes chiamò senso “ottuso” può contare in fotografia tanto quanto il senso “ovvio”. E’ a questo aspetto di non – senso e di motivazione umana nello sguardo, nel desiderio e nelle pulsioni, che si è generalmente rivolto il poststrutturalismo.

Il semiotico visuale deve diventare anche psicologico: nel bagaglio degli strumenti teorici sono necessarie anche le “motivazioni” e la realtà della psiche umana».

Fotografia Globale:

Nell’ ultima parte, intitolata Fotografia Globale, Bate da una visione del fenomeno della fotografia nell’ambito della globalizzazione e di come essa possa o no essere intesa globalmente in quanto portatrice di messaggi suscettibili di interpretazioni differenti. Questa fotografia mondiale perde in parte la dimensione temporale (es. cronaca) per acquistarne una spaziale di maggiore importanza, ora il suo spazio è il mondo globalizzato e digitalizzato. Questo modo di intendere l’immagine fotografica è un fenomeno nuovo nel corso della storia e produce effetti diversi da quelli connessi all’immagine analogica, quindi ha bisogno di nuove analisi e metodi di lettura.

Ciò che non cambia è il modo in cui viene rappresentato il soggetto, il quale deriva dal sistema culturale di riferimento; quest’ultimo è “dato dall’alto” (cioè dalla diffusione di immagini tramite giornali e web) ed assimilato dalla società di massa, il che è direttamente collegato alla globalizzazione, in quanto permette una maggiore diffusione e possibilità di fruizione delle immagini; la fotografia globalizzata e digitalizzata diviene indicatore dei cambiamenti “impressi alla forma delle strutture del potere del mondo”.(David Bate)