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sabato 4 agosto 2012

David Hamilton

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

David Hamilton

David Hamilton osserva la fanciulla e la donna con l’occhio tipico dell’uomo, da osservatore  ignaro e inconsapevole di quello che sta osservando e di ciò che sta accadendo ed al tempo stesso stupito da quello che ai suoi occhi viene rivelato, il mistero e l’essenza più intima della donna.
“Cacciatore di sogni, l'uomo dagli occhi chiari insegue farfalle adolescenti con ali tenui, appena uscite dalla crisalide... Con delicatezza, per non sciuparle, le imprigiona immediatamente in una grande casa perduta, la sua casa, dove le osserva a lungo... Il fantomatico cacciatore vaga di camera in camera, silenzioso come le sue farfalle. È alla ricerca di qualche cosa, di cui ignora completamente la natura. Spinge, dolcemente, il battente di una porta. Si ferma. Osserva e, finalmente, vede. Il suo nome è David Hamilton...”
Questo mistero è la scoperta della propria femminilità e la consapevolezza della sensualità, celate dall’innocenza e dall’inconsapevolezza, che già sono presenti nella più intima essenza della fanciulla ma sconosciute e quasi irraggiungibili poiché protette dalla purezza dell’infanzia, quel che si rivela agli occhi di Hamilton è questa scoperta, che però rimane ancora incompiuta, velata dalla dolcezza dei giovani corpi.
Il motivo della ricerca di Hamilton è la fanciulla, che come una farfalla esce dalla crisalide per spiegare le proprie ali e scoprire la vita, diventa donna, scopre il proprio corpo, la propria intimità, la propria sensualità, ma sempre circondata da un alone di mistero, sia verso se stessa e la propria intimità che verso il mondo e gli altri (gli uomini), di innocenza e purezza che persistono in questo passaggio dall’infanzia alla giovinezza rendendo unico ed irripetibile questo momento.
All’intimità s’aggiunge la ricerca della forma e dell’espressione della vita, Hamilton trova in questo momento dell’esistenza la massima pienezza vitale che nasce dalle scoperte appena fatte e dal desiderio e al tempo stesso paura dell’amore.
Solo l'attimo fugace descritto da Rodin: “la vera giovinezza, quella della pubertà virginale, il momento in cui il corpo ricco di linfa vitale e di vigore intatto rivela una lieve e agile fierezza e sembra invocare e, al tempo stesso, temere l'amore, quel momento che dura solo pochi mesi”.
La ricerca di una realtà diversa, ineffabile, una realtà che forse non esiste affatto, una sensibilità, una tenerezza dolce e una profonda nostalgia del tempo che fugge.
Il fulcro della sua ossessione artistica è la fanciulla, nel momento in cui si apre ancora inconsapevole alla sua vita di donna; David Hamilton ama troppo intensamente questa sua fonte di ispirazione per non circondarla di purezza e essenzialità.
Hamilton ci presenta le sue modelle come se fossero fate o creature fantastiche, che non possono vivere nel nostro mondo, perché forse quello che egli ricerca con tanto ardore non può esistere in questo mondo o forse è troppo breve e delicato per essere conoscibile ed apprezzato  nella sua intera essenza.
Hamilton è consapevole che in questo mondo non può esistere un simile momento e cosi sublimi bellezza e dolcezza, per questo ci apre le porte del suo giardino, un luogo metafisico, irreale, dove lì e solo lì abitano e vivono, come nude ninfe, le sue fanciulle nel momento in cui innocenza e scoperta dolcemente coesistono, rendono magica e attraente la fanciulla.
Jardin Secret (Giardino segreto), titolo che sintetizza tutta l'opera di Hamilton, in due parole chiave: il "giardino" che racchiude tutto il colore e la bellezza in cui la sua ispirazione si arricchisce e si evolve, e il "segreto" che rivela il grado di apertura, di rivelazione di se stesso cui egli si abbandona, il pudore e il riserbo con cui si esprime.
È evidente che la fanciulla di Hamilton è universale, collocata in una dimensione atemporale.
Le opere di Hamilton sono più simili a quadri che non a fotografie, in quanto egli conscio dell’impossibilità dell’esistenza e della persistenza nella realtà di questi momenti stimola l’intelligenza ed il pensiero con la grande  potenza dell’immaginario, che è più facilmente ricreabile, esprimibile e percepibile attraverso una tela dipinta, per comunicarci la sua scoperta e se possibile immergerci nel suo mondo, ne suo giardino, per far “toccare con mano”, per fare l’esperienza della dolce visione e sublime scoperta della donna, di ciò che realmente è.
La sua è una realtà fatta di immagini irreali, troppo belle per esistere al difuori dell’immagine sfocata.
Per meglio definire le sue stesse immagini cita Maupassant: “La bellezza, la bellezza armonica. Nulla esiste, al di fuori della bellezza... La linea di un corpo, di una statua o di una montagna, i colori di un dipinto...”.
Mona, la sua compagna, la moglie fra tante fanciulle: Robert Gordon esprime perfettamente ciò che ella rappresenta: “Mona è il simbolo della ricerca della perfezione da cui Hamilton è ossessionato. La sua è una bellezza classica; le fotografie che la ritraggono sono un omaggio alla sua grazia armoniosa e alla sua innata eleganza. Personaggio mitico, ella rappresenta l'ispirazione dell'artista e non ne svela il mistero...”

giovedì 2 agosto 2012

Richard Avedon

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)











Richard Avedon



Richard Avedon fotografo di moda e ritrattista statunitense, noto in tutto il mondo, nasce a New York il 15 maggio 1923, muore a San Antonio, il 1 ottobre 2004.
Fotografo di moda anticonformista, Richard Avedon mette da parte i manierismi per ottenere emozioni, sorrisi e soprattutto naturalezza. Sia per la rivista Vogue o Harper’s Bazaar, è colui che coglie l'istante.
«Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale. E' come se mi fossi dimenticato di svegliarmi».
Avedon era "un comunicatore straordinario". Attraverso un affascinante gioco di seduzione, riusciva a tirare fuori dai suoi soggetti gesti di una forza e di una spontaneità unica. Li conquistava e le loro espressioni cambiavano perché entravano in un'altra dimensione, diversa e lontana dal set fotografico. Una dimensione in cui c'erano soltanto loro e il fotografo.
Scapestrato e sempre in cerca di forti emozioni, nel 1942 abbandona gli studi, per lui noiosi, per arruolarsi come fotografo nella Marina Militare dove ha modo di girare per il mondo e fare  esperienze nelle situazioni più difficili.
Profondamente colpito dalle foto di Mukancsi, al suo ritorno in America si dà da fare per affinare le sue competenze tecniche. Dopo la dura ma fruttuosa gavetta nell'esercito, assegnato alle autopsie e alle foto d'identità, alla fine della seconda guerra mondiale diventa fotografo professionista. Sale il suo primo gradino professionale:  diventa aiuto fotografo in uno studio privato per poi collaborare anche con la rivista “The Elm”.
Negli anni '40 segue un corso alla New School for Social Research tenuto da Alexy Brodovitch, direttore di Harper's Bazaar. In seguito va a far parte del gruppo stabile di Bazaar a parigi, grazie all'ammirazione che Brodovitch ha  per lui. Quest'ultimo rappresenta senz'altro una figura di rilievo per il fotografo, come è ben visibile dal primo libro pubblicitario di Avedon "Observation" ( con testi di Truman Capote), pubblicato nel 1959 e dedicato al suo mai dimenticato pigmalione.
In questo periodo nascie il suo stile personale, che rivoluzionerà tutta la fotografia di moda successiva, cioè porta la moda fuori dagli studi, in ambientazioni urbane e cittadine e le da un movimento che non ha mai avuto prima.
Per il suo metodo di guidare le modelle nei gesti e nelle posture è stato soprannominato il “fotografo ballerino”.
Sin da subito risultò evidente che si trattava di uomo con un’opera ed un progetto non scindibili dalla storia dell’arte. Avedon aveva scoperto un nuovo modo per dare espressività alle modelle che nelle sue fotografie non apparivano più come “appendiabiti” ma come persone reali, dei personaggi, aveva trasformato la monotona foto di moda in qualcosa di vivo e reale.
Nel 1961 diviene direttore artistico di Bazaar. Il suo secondo libro, "Nothing Personal" (con testi di James Baldwin) viene  pubblicato nel 1963 dopo aver visitato gli stati del sud: vi emerge l'attenzione per i diritti civili e la presa di posizione politica ed etica, con tendenza a strutturare ogni lavoro come fosse una storia.
Il 22 novembre 1963 realizza in Times Square una serie di foto a persone che mostrano il giornale che parla dell'assassinio di Kennedy. Nel 1965 passa da Bazaar a Vogue.
Nei primi anni '70, con Arbus, pubblica un libro su “Alice nel paese delle meraviglie”, nel quale, come in un lavoro dello studio di Andy Warhol, le fotografie hanno un aspetto teatrale per la sequenzialità e la gestualità studiata dei personaggi fotografati. Amante innanzitutto dei ritratti, Richard Avedon abbandona gli studi fotografici per tornare agli shooting di strada ritraendo anonimi. Malati internati negli ospedali psichiatrici, manifestanti contro la guerra in Vietnam, Avedon riesce cosi a svelare una sensibilità che oltrepassa la vita mondana predestinata. Dal 1979 al 1985 esegue numerosi ritratti di vagabondi e disadattati nel West americano che vengono definiti offensivi per gli abitanti di quelle regioni, talvolta criticato per la sua assenza di autocensura riguardo gli USA, Richard Avedon fa le orecchie da mercante dipingendo il vero volto del suo paese.
Anche nel ritratto, a cui l’autore si è dedicato contemporaneamente alle foto di moda, Avedon si è imposto per la sua intensità, emotivamente denso e permeato di atmosfere cupe.
Ritratti di uomini di stato, artisti, attori ed attrici laddove comunemente ci si aspetterebbe un’immagine fissa, rigida di una persona, la sua fotografia scardina l’icona della foto da cartolina. Che si tratti di star del cinema come Katherine Hepburn, Humphrey Bogart, Brigitte Bardot, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe o ancora Buster Keaton e Charles Chaplin, o personalità del calibro di Karen Blixen, Truman Capote, Henry Kissinger, Dwight D. Eisenhower, Edward Kennedy, The Beatles, Andy Warhol e Francis Bacon, ogni ritratto si imprime nella memoria in modo indelebile e ci restituisce di ognuno, l’idea e l’immagine del personaggio pubblico e privato.
Nel capodanno del 1989 Avedon si reca a Berlino vicino alla Porta di Brandeburgo in occasione della caduta del muro, mostrando ancora una volta che il suo lavoro non è solo rivolto alla moda  ma rappresenta uno strumento sensibile per capire mutamenti politici, risvolti psicologici o filosofici. Va sottolineato come Avedon, da intellettuale della fotografia qual è, ha sempre sostenuto il ruolo di elaborazione che svolge il fare stesso della fotografia, un luogo che non rappresenta mai la “verità”. Le sue stesse fotografie sono un mirabile risultato di pensiero ed elaborazione e quasi mai si affidano al caso.
«Le mie fotografie non vogliono andare al di là della superficie, sono piuttosto letture di ciò che sta sopra. Ho una grande fede nella superficie che, quando è interessante, comporta in sé infinite tracce.»
Una delle sue foto più famose, “Dovima”, ad esempio, ritrae una modella che indossa un abito da sera di Dior in una posa estremamente innaturale in mezzo a due elefanti: è stata scattata a Parigi nel 1955 e rappresenta il massimo dell'artificio.
In seguito collabora con le riviste più prestigiose come The New Yorker e Rolling Stone.
Altri suoi celebri lavori sono i suoi ritratti di artisti e personaggi famosi, ma anche le serie scattate alla gente comune e all'interno di un ospedale psichiatrico.
«Marilyn Monroe alla macchina fotografica offriva più di qualsiasi altra attrice, o donna, che io abbia mai inquadrato: era infinitamente più paziente, più esigente con se stessa e più a suo agio di fronte all’obiettivo che non quando ne era lontana».
Autentico mago, Richard Avedon abbatte i cliché per ricostruire un nuovo volto alla fotografia. Nel corso degli anni, realizza le foto dei Beatles, di Charlie Chaplin o di Marylin Monroe, oggi ancora considerate come dei monumenti della storia fotografica e che continuano ancora, per la loro forza e per la loro intensità, ad essere vere icone, irresistibili e affascinanti, del nostro tempo.
La sua grandezza artistica è stata celebrata in una bellissima mostra al Metropolitan Museum di New York.
Ottantunenne ancora in attività, mentre stava realizzando un servizio fotografico in vista delle elezioni presidenziali americane per conto del "New Yorker", è stato colpito da un ictus cerebrale e l'1 ottobre 2004 muore in un ospedale di San Antonio, in Texas.

Lewis Caroll

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

Lewis Caroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson

Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson  nato a Daresbury il 23 gennaio 1832 e morto a Guildford il 14 gennaio 1898, è stato scrittore, matematico, fotografo e logico britannico, celebre per i romanzi Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, opere  apprezzate da una gran varietà di lettori.
La famiglia Dodgson era del nord Inghilterra, con sangue irlandese, Anglicana e conservatrice.
Charles nacque a Daresbury, terzo di undici fratelli . Quando Charles aveva 11 anni, la famiglia si trasferì nello Yorkshire, dove rimasero per 25 anni.
Nei primi anni della sua vita, Charles studiò a casa, con un precettore. Il registro delle sue letture, testimonia quanto fosse precoce; a sette anni lesse il romanzo allegorico religioso Il viaggio del pellegrino di John Bunyan. Soffriva di balbuzie, problema che ebbe effetti negativi sulla sua vita sociale.
A dodici anni fu mandato a studiare presso una scuola privata a Richmond, e passò alla Rugby School,  nel 1845, nella quale si è portati a credere, da scritti dello stesso Dogson, che subì violenze sessuali dai preti.
Dodgson lasciò la scuola di Rugby nel 1850, iscrivendosi poi alla Christ Church di Oxford. Qui ricevette la notizia che sua madre era morta di "infiammazione del cervello" (meningite o ictus).
Qualsiasi fossero i sentimenti di Dodgson per la morte della madre, non lasciò che lo distraessero dagli studi. Era eccezionalmente dotato, e ricevette numerosi riconoscimenti formali per i suoi notevoli risultati.
A Oxford gli fu anche diagnosticata una forma di epilessia, problema che all'epoca era un fardello sul piano sociale. Recentemente, John Hughes, direttore della clinica di epilessia dell'Università dell'Illinois, ha sostenuto che la diagnosi era sbagliata. Carroll soffriva probabilmente di una forma emicranica detta emicrania con aura, dove il dolore emicranico è preceduto da particolari sintomi neurologici simili per certi versi all'epilessia (perdita parziale del campo visivo, visione di luci a zig zag). Molti sostengono che questa sintomatologia abbia ispirato alcuni elementi delle sue opere.
Nel 1856, Dodgson iniziò a interessarsi alla fotografia, alla quale fu introdotto dapprima da uno zio, più tardi da un amico di Oxford ed infine dal pioniere della fotografia Oscar Rejlander.
La fotografia si rivelò uno strumento ideale per esprimere la sua filosofia personale, centrata sull'idea della divinità di ciò che Dodgson chiamava "bellezza": uno stato di grazia, di perfezione morale, estetica e fisica. Dodgson trovava questa bellezza nel teatro, nella poesia, nelle formule matematiche e soprattutto nella figura umana. In seguito, giunse a identificare questa idea di bellezza con il recupero dell'innocenza perduta dell'Eden. Come ebbe a notare il suo biografo Morton Cohen, con questa visione decisamente poco vittoriana Dodgson "rifiutava il principio calvinista del peccato originale, sostituendolo con il concetto opposto di divinità innata".
La visione artistica e filosofica di Dodgson domina il suo approccio alla fotografia. Dal saggio Lewis Carroll, Photographer di Roger Taylor (2002), che contiene tutte le foto di Dodgson ancora in nostro possesso, risulta che oltre la metà dei suoi lavori erano ritratti di bambine. La maggior parte delle ragazze ritratte scrivevano il proprio nome in un angolo della stampa, per cui i loro nomi sono quasi tutti noti. La sua modella preferita era Alexandra Kitchin "Xie"; Dodgson la ritrasse circa cinquanta volte fra i 5 e i 16 anni. Nel 1880 cercò di ottenere il permesso di fotografarla in costume da bagno, senza riuscirvi.
Si pensa che Dodgson abbia distrutto o restituito, le fotografie di nudo; tuttavia, almeno sei stampe son sopravvissute. Il fatto che Dodgson fotografasse o disegnasse ragazzine nude ha contribuito alla tesi che fosse un pedofilo.
Scopo primario di queste fotografie era esorcizzare le violenze subite alla Rugby School; altro obiettivo della fotografia di Dodgson è quello di liberarsi del fardello della simbologia vittoriana, ritraendo le sue giovani modelle più come fate, libere creature dei boschi, che come beneducate damigelle della buona società inglese.
Dodgson utilizzò la fotografia anche per introdursi nei circoli sociali più esclusivi. Fece ritratti per personaggi di spicco del suo tempo come John Everett Millais, Ellen Terry, Dante Gabriel Rossetti, Julia Margaret Cameron e Alfred Tennyson. Si dedicò anche a qualche paesaggio e qualche studio di anatomia.
Fra il 1854 e il 1856 Dodgson iniziò a pubblicare poesie e racconti su riviste nazionali e locali.
Diversi anni prima di Alice iniziò a pensare come realizzare libri per bambini che potessero vendere bene.
Quando giunse alla Christ Church un nuovo rettore, Henry Liddell, Dodgson ne divenne ottimo amico di famiglia e in particolare della signora e dei figli. Con le tre figlie Ina, Alice e Edith era solito fare giri in barca. Fu durante una di queste gite, nel 1862, che Dodgson inventò le linee generali di una storia fantastica per divertire le tre bambine. Alice Liddell lo pregò di metterla per iscritto. Ne nacque un manoscritto intitolato Alice's Adventures Under Ground. In seguito Dodgson si decise a sottoporre il libro all'editore MacMillan, che lo apprezzò molto. Furono necessarie diverse revisioni finché nel 1865 vide finalmente la luce Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, firmato da "Lewis Carroll", con illustrazioni di John Tenniel.
Il libro ebbe un successo immediato e travolgente, e "Lewis Carroll" divenne presto un amatissimo e famosissimo personaggio pubblico, quasi un alter ego che conduceva una vita propria, parallela a quella di Dodgson. Al nome "Lewis Carroll" vennero associati gradualmente una serie di miti, incentrati sull'idea che si trattasse di un personaggio bizzarro, quasi venuto da un mondo fatato fatto di bambine e magia. Dodgson continuò a insegnare fino al 1881; rimase alla Christ Church fino alla morte, avvenuta nel 1898 per bronchite, conducendo la sua solita vita; ma Carroll continuò a scrivere. Nel 1872 pubblicò Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò.
Smise improvvisamente di fotografare nel 1880, dopo 24 anni di attività e oltre 3000 foto; meno di un terzo di queste sono sopravvissute; alcune sono state deliberatamente bruciate dallo stesso autore. È andato perduto anche il diario in cui Dodgson annotava minuziosamente le condizioni in cui aveva realizzato ciascuno scatto.
Dimenticato dal 1920 al 1960 a causa dell'avvento del modernismo, Dodgson viene considerato uno dei più grandi fotografi dell'epoca vittoriana, e certamente uno di quelli che ha maggiormente influito sulla fotografia artistica moderna.
Socialmente ambizioso, voleva a tutti i costi fare qualcosa per cui essere ricordato, inizialmente come scrittore o come pittore. La fotografia fu all'inizio un ripiego rispetto alla pittura, nella quale Dodgson pensava di non essere dotato.
Nonostante la sua vita fosse focalizzata sulla dimensione sociale, Dodgson coltivava una ricca vita spirituale, che emerge sporadicamente nei suoi scritti. Commentando una canzone che compariva nel romanzo Alton Locke di Charles Kingsley ebbe a dire:
« È una bellissima canzone ...  mi chiedo se alcuno dei presenti sia entrato nello spirito di Alton Locke. Non credo. Penso che il carattere delle persone che incontro sia nella maggior parte dei casi quello di un raffinato animale ... Come sono pochi quelli che sembrano occuparsi di ciò che realmente conta nella vita».
I testi Alice nel paese delle meraviglie e Alice attraverso lo specchio, nascondono sottili giochi matematici, sintomo della grande intelligenza e genialità di questo autore.
Si è propensi a credere che Carol fosse anche affetto da autismo.

Roger Fenton


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*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)


Roger Fenton

Roger Fenton nasce a Heywood, Inghilterra, il 20 marzo 1829, muore a Londra l’8 agosto 1869 a soli quarant’anni d’età.
Nel 1841, ancora giovanissimo, si reca a Parigi per studiare diritto e fare pratica di pittura presso l’atelier del pittore Paul Delaroche, dove conosce il futuro fotografo Gustave Le Gray.
Negli anni successivi, fino al 1851, effettua numerosi viaggi e soggiorni a Parigi imparando le tecniche fotografiche e specializzandosi tanto da decidere di intraprendere l’attività di fotografo.
Nel 1852 si reca in Russia dove esegue numerose riprese fotografiche, sia relative alla costruzione di un ponte sospeso sul fiume Dniepr, sia nelle città di Kiev, Mosca e San Pietroburgo.
Nel 1853 è già un fotografo affermato in Gran Bretagna, fonda la Royal Photographic Society e dall’anno successivo comincia ad eseguire ritratti della famiglia reale inglese.
E’ in virtù del suo impegno presso la Royal Photographic Society che nel 1854 avrà l’incarico di fotografo ufficiale della guerra di Crimea, diventando il primo reporter di guerra della storia della fotografia.
Il governo britannico aveva fin dall’inizio valutato l’importanza di documentare fotograficamente il conflitto, ma senza successo: per questo motivo nel 1854 viene chiesto l’aiuto della Royal Photographic Society e Fenton si offre volontariamente come operatore.
Ottenuti finanziamenti dal Ministero della Guerra, dalla Corona e da un editore di libri illustrati, progetta e si fa costruire un carro fotografico capace di trasportare trentasei casse contenenti il materiale sensibile nonché le attrezzature da ripresa e stampa; vi sono caricate circa 700 lastre al collodio e l’interno è praticamente formato da una serie di camere oscure: all’esterno appare la scritta “Photographic Van”.
Fenton affronta due viaggi in Crimea.
Durante il primo viaggio documenta  crudeltà e  crudezza della guerra, gli scontri e i massacri riprendendo immagini di morti ammazzati sui campi di battaglia e gli ammassi dei cadaveri.
in condizioni logistiche e di ripresa estremamente critiche, sia per quanto riguarda l’aspetto specificamente tecnico/fotografico, sia per i rischi personali a cui deve esporsi.
Uno dei primi problemi tecnici incontrati è la temperatura del luogo, tale da deteriorare rapidamente i bagni di sensibilizzazione,  sviluppo e fissaggio; il materiale fotosensibile che egli utilizza, le lastre al collodio umido, richiedono di essere immerse nella soluzione di sali d’argento pochi minuti prima dell’esposizione e di venire sviluppate subito dopo, così che egli è costretto a lavorare soprattutto all’alba quando il calore non è ancora tale da compromettere tutto.
Altro problema è la necessità di nascondere l’ingombrante carro ai tiri dell’artiglieria russa, che sembra accanirsi sul misterioso veicolo, ritenendolo probabilmente un obiettivo importante dal punto di vista militare.
Tornato in Inghilterra viene criticato e il suo lavoro non viene pubblicato perché ritenuto troppo violento dalla corona inglese.
Nel febbraio 1855 è pronto a partire e si imbarca sulla nave Hecla con destinazione Crimea.
Rimane sul teatro di guerra da marzo a giugno 1855, realizzando circa 360 fotografie.
Il taglio che Fenton dà alle sue immagini è quello della documentazione di una impresa militare per conto del governo che l’ha promossa: si tratta quindi di immortalare i luoghi, i personaggi, le truppe senza mostrare però gli aspetti più tragici e terribili delle battaglie come le distese dei morti dopo gli assalti o le sofferenze dei feriti e dei mutilati.
Le sue foto insomma sono tali da far rendere accettabile all’opinione pubblica inglese la spedizione in Crimea e ciononostante l’insieme delle immagini costituisce un reportage di grande interesse, in quanto per la prima volta vengono mostrate le realtà degli accampamenti militari e  delle fortificazioni.
E’ naturalmente molto rilevante anche l’aspetto più squisitamente documentario, trattandosi, a prescindere dalle vicende belliche, di luoghi così lontani dall’Inghilterra.
A giugno viene contagiato dal colera che sta mietendo vittime così numerose tra i soldati britannici che alla fine della guerra il numero dei morti per malattie sarà superiore a quello dei caduti in combattimento; è costretto a rientrare in patria pochi mesi prima della decisiva battaglia di Sebastopoli, la cui caduta, nel mese di settembre, sarà invece documentata appunto da Felice Beato e da James Robertson.
Al suo ritorno viene allestita a Londra una mostra fotografica nella quale espone 312 immagini.
La sua carriera di fotografo è legata praticamente alle sole riprese eseguite in Crimea e al fatto di essere stato il primo a documentare una guerra: nel 1862 abbandona la professione e vende l’attrezzatura.





Eadweard Muybridge


*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)


Eadweard Muybridge

Eadweard Muybridge nasce a Kingston upon Thames il 9 aprile 1830, fotografo inglese fu pioniere della fotografia del movimento. Battezzato Edward James Muggeridge, cambiò il cognome prima in Muygridge, infine in Muybridge.
Trasferitosi negli Stati Uniti avvia un’attività di libraio, poi di editore ed infine si dedica alla fotografia.
Inizia a sperimentare la sterografia, sistema di visione simultanea di due fotografie di  uno stesso soggetto (paesaggi e architetture) l’una di poco spostata nello spazio rispetto all’altra e con toni leggermente diversi cosi da dare l’illusione della tridimensionalità dell’immagine.
Il primo lavoro di una certa rilevanza è una serie di immagini dello Yosemite Park e della città di S.Francisco (dove vive),  che vengono pubblicate con lo pseudonimo di “Helios”.
Nel 1872 l'uomo d'affari e governatore della California Leland Stanford chiese a Muybridge di confermare la sua ipotesi che nel galoppo di un cavallo esiste un istante in cui tutte le zampe sono sollevate da terra ma non nel momento di massima estensione.
Questa non è solo la tesi sostenuta da Stanford, ma è convinzione comune ritienere che il cavallo si stacchi completamente da terra nella posizione di massima estensione delle zampe; questa situazione durante il galoppo è anche stata spesso raffigurata in quadri e disegni degli inizi del XIX secolo.
Proprio in questo periodo si verifica un evento drammatico, che per un po’ distoglie Muybridge dalla fotografia: è il 1874 quando scopre che sua moglie ha un amante e che questi è il sindaco di S. Francisco, Harry Larkyns.
Il 17 ottobre di quell’anno lo affronta e gli spara, uccidendolo; viene processato ed assolto perché l’omicidio è ritenuto giustificato.
Nonostante l’assoluzione, Muybridge decide di trasferirsi prima in Messico e poi in Centro America dove lavora presso compagnie ferroviarie di cui Stanford è comproprietario.
Rientra negli States nel 1877 e riprende le sue ricerche, sempre sovvenzionato da Stanford, che gli fornisce lo spazio (un galoppatoio) e l’aiuto di alcuni tecnici della Pacific Railroad.
Nel 1878 riesce a fotografare un cavallo in corsa utilizzando 24 fotocamere, sistemate parallelamente alla direzione del moto dell’animale, che vengono fatte scattare in sequenza da un filo colpito dagli zoccoli del cavallo; la serie di fotografie viene chiamata The Horse in motion e mostra come gli zoccoli si sollevino dal terreno contemporaneamente, ma non quando si trovano nella posizione di completa estensione.
I risultati di Muybridge sconvolsero la convinzione comune che il cavallo si staccasse completamente da terra nella posizione di massima estensione e questi risultati influenzarono pesantemente l'attività dei pittori, che si affidarono sempre più al mezzo fotografico per meglio riprodurre quello che l'occhio umano confonde. Molti pittori utilizzarono fotografie di figure umane per copiarle nei loro quadri e si arrivò anche alla pittura diretta su lastra fotografica. L'analisi forse più attenta del movimento catturato da Muybridge venne portata a termine da Edgar Degas, che studiò a fondo tutte le posizioni assunte dal cavallo.
L'impegno di Degas gli fu riconosciuto anche da Paul Valéry, che aggiunse:
« Le fotografie di Muybridge rivelano chiaramente gli errori in cui sono incorsi tutti gli scultori e i pittori quando hanno voluto rappresentare le diverse andature del cavallo »
(Degas Danse Dessin, Paul Valéry, 1938)
In seguito conduce altre ricerche al fine di riprendere immagini in movimento e studiare il movimento degli animali e delle persone; a questo scopo ottiene  un finanziamento dall’università della Pennsylvania e realizza migliaia di immagini, ma la sua attività mostra limiti evidenti dal punto di vista scientifico essendo egli più uno sperimentatore che uno scienziato.
Le sue sequenze di persone nude che eseguono movimenti spesso fine a se stessi hanno valore maggiore come immagini fotografiche piuttosto che come strumenti di analisi e di ricerca.
Progettò lo Zoopraxiscopio, uno strumento simile allo Zoetropio, per la proiezione delle immagini permettendone la visione a più persone contemporaneamente. Le sequenze animate che poi realizza prendono il nome di stop motin, primo passo che dalla fotografia porterà al cinema, la cui invenzione avverrà tra il 1901-02 ad opera dei fratelli Loumier. Il sistema da lui inventato è un precursore del cinema, per questo egli è considerato un precursore della ripresa cinematografica.
Nel 1894 ritorna in Inghilterra, muore l’8 maggio 1904 a Kingston upon Thames.



Félix Nadar

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)


Gaspard Félix Tournachon, in arte “Nadar”
Gaspard Félix Tournachon nasce a Parigi il 6 aprile 1820; vive per un periodo a Lione dove la famiglia si è trasferita e rientra a Parigi a diciassette anni, dopo essere rimasto orfano di padre.
Comincia a frequentare corsi di medicina, ma il suo carattere estroverso lo spinge a cercare contatti con la cultura liberale e il mondo dell’arte,  con l’ambiente della letteratura e della musica.
Scrive articoli per piccoli giornali e scopre la sua vena di caricaturista; già verso il 1841 inizia a farsi conoscere con lo pseudonimo di “Nadar” e a collaborare con riviste satiriche realizzando caricature per Le Charivari e a fondare l’anno successivo Le Revue comique e Le Petit journal pour rire.
Il suo incontro con la fotografia avviene quando manda il fratello Adrien a scuola da Gustave Le Gray che in quel momento è a Parigi il fotografo più quotato; l’intento è quello di orientarlo verso una professione che promette bene per l’avvenire.
Egli stesso si avvicina poi alla fotografia, prende alcune lezioni da Bertsch e da Arnaud ed apre subito dopo un piccolo atelier presso la propria abitazione.
La decisione di muoversi in questa direzione è favorita anche dal fatto che il clima politico conseguente alla restaurazione operata da Napoleone III nel 1851 imbriglia la sua vena satirica, così che egli è indotto ad allontanarsi dalle caricature per avvicinarsi alla nuova forma di espressione.
Nello stesso clima inizia a lavorare a quella enorme raccolta di ritratti disegnati di personaggi celebri che uscirà nel 1855 come Pantheon Nadar.
Le sue prime fotografie risalgono al 1853.
In collaborazione con il fratello Adrien realizza  una serie di ritratti al mimo Charles Debureau con le quali i due ottengono il primo premio all’Esposizione Universale parigina del 1855 per l’importante concetto da essa espresso, cioè: io spio te, tu spii me; io fotografo te, tu fotografi me ed è la prima fotografia dove il soggetto fotografato compie l’azione di fotografare; a seguito di contrasti susseguenti a tale riconoscimento Nadar decide di separarsi dal fratello ed  apre un proprio studio in Rue Saint Lazare.
Esegue una serie di splendidi ritratti di personaggi suoi contemporanei, dimostrando in questo tipo di immagine una capacità creativa e una sensibilità  fuori dal comune; ama parlare con i propri soggetti, cercando il più possibile di interpretare fotograficamente la loro personalità, aiutato in questo dalla sua vena di caricaturista e dalla conseguente capacità di carpire le loro espressioni caratteristiche.
E’ molto abile nella preparazione del contesto in cui il ritratto viene eseguito e soprattutto nella predisposizione della luce, sia naturale che artificiale: nell’uso di quest’ultima e nella capacità di interpretarne l’effetto sui visi deve essere considerato un vero pioniere.
Pone una cura maniacale nella preparazione dei particolari, soprattutto nell’abbigliamento, e ha la capacità di eseguire ritratti incredibilmente naturali, creando immagini che danno l’impressione di far uscire dal soggetto un pensiero o uno stato d’animo.
Nel suo atelier passano tutti i personaggi di spicco dell’epoca, in primo luogo artisti; fotografa uomini politici, governanti, giornalisti, attori ed attrici e naturalmente anche illustri sconosciuti, operando con uno standard qualitativo elevatissimo.
Sarebbe lungo l’elenco dei suoi soggetti: Baudelaire, Victor Hugo, Sarah Bernhardth, Georges Sand, Eugene Delacroix, Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi, Jules Verne, Cléo de Mérode, Mistinguett, Lamartine, Auguste Rodin, Gustave Doré e tanti altri.
Nel 1860 la sua fama è all’apice, anche per altre iniziative di cui si è reso protagonista, come la ripresa delle prime foto aeree della storia, eseguite sui cieli di Parigi da un pallone aerostatico nel 1858.
Il volo è un’altra delle sue passioni ed è convinto (e la storia gli darà ragione) che il futuro della navigazione aerea sia affidato ad aeromobili più pesanti dell’aria.
Nel 1863 assieme ad altri (fra cui Jules Verne) fonda una società di incoraggiamento per la navigazione aerea a mezzo di apparecchi più pesanti dell’aria e per finanziarsi fa costruire uno dei palloni più grandi del mondo, Le Géant, col quale, durante il secondo volo, precipita in Germania rischiando la vita; durante l’assedio di Parigi nel 1870 suggerirà di innalzare un pallone aerostatico per controllare le posizioni prussiane e garantire le comunicazioni della città con il mondo.
L’amico Jules Verne si ispirerà a lui sia per il romanzo Cinque settimane in pallone, sia per creare il personaggio di Michel Ardan (anagramma di Nadar) nel romanzo fantascientifico Dalla Terra alla Luna del 1865.
Nel 1860 il suo nuovo studio in Boulevard des Capucines è uno dei principali punti di ritrovo parigino di artisti ed intellettuali, tanto che ospita il 15 aprile 1874 la prima mostra ufficiale dei pittori impressionisti.
Atto significativo della sua sensibilità di artista e umana è l'episodio che lo vede impegnato nella ripresa fotografica di un caso di ermafroditismo; su commissione di uno medico viene richiesto a Nadar di documentare i sintomi di anormalità che presenta il sesso di questo paziente: la legge e la medicina cominciano a utilizzare la fotografia come mezzo di conferma del reale a sostegno della loro funzione di controllo sulla società, mantenendo l'ordine e correggendo ciò che eccede la norma stabilita dal potere imperante della borghesia, investendo la fotografia di un assoluto potere di restituzione della realtà come verità, in particolare con l'utilizzo della carta e la classificazione illuministica ed enciclopedica delle malattie e del corpo umano in generale; è con questo intento e con questo sguardo che perviene la richiesta al fotografo Nadar, il quale non, da intellettuale qual è, sfrutta l'occasione per mostrare i limiti e le possibilità del nuovo mezzo fotografico - come già aveva fatto assieme al fratello Audrien con la serie del mimo Charles Debureau - dimostrando che l'identità del soggetto non è leggibile dalla propria superfice visibile. Sapendo che la medicina intende catalogare l'identità sessuale della persona che ha difronte nel genere femminile o maschile o tra "mostri", Nadar attribuisce al soggetto uno statuto di esistenza nel suo non appartenere a un genere specifico: ponendo il corpo in una situazione ambigua, in una posa presa dalla rappresentazione classica dell'androgino e messo in rapporto con le pieghe, morbide e mobili, di una tenda rende la superfice dell'apparenza del sesso ancor più indefinibile: il mezzo che serve da controllo e conferma dell'identità - nome, cognome e sesso - e della classificazione del corpo e delle patologie non da conferma né documento, non risolve il soggetto in una categoria non rispondendo alla norma che impone la società.
Esegue anche riprese fotografiche un po’ più commerciali, fra cui immagini di nudo, mostrando  una vastità di interessi che lo porta a fotografare i sotterranei e le catacombe di Parigi in assonanza col gusto dell’epoca per gli ambienti sotterranei in cui matureranno i romanzi di Zola  e di Hugo Il ventre di Parigi e I miserabili.
Negli anni successivi si ritira dalla fotografia e riprende l’attività di scrittore, pubblicando, nel 1900, il volume “Quand j’étais photographe”,  scritti di vario genere tenuti insieme da quella scoperta che Nadar vive e racconta da protagonista e che, tra le invenzioni del XIX secolo, è ciò che a suo dire … par concedere all’uomo il potere di creare lui pure, a sua volta, materializzando l’impalpabile spettro, che svanisce appena visto, senza lasciare neppure un’ombra sul cristallo dello specchio o un’increspatura nell’acqua di un catino…
Quest’opera di Nadar  anticipa gli studi del XX secolo sul significato e l’essenza della fotografia affermando che la fotografia dà la dimostrazione che la luce è in grado di esercitare un’azione …sufficiente a produrre cambiamenti nei corpi materiali…
Personaggio controverso, sperimentatore, scrittore, disegnatore, uomo di cultura, aeronauta, è il primo grande artista che si confronta con la fotografia, di cui dirà …non esiste la fotografia artistica. Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare.
Nel 1890, quando la sua attività di fotografo è praticamente cessata, esegue il ritratto di sua moglie, realizzando quella che rimane una delle più grandi immagini della storia della fotografia.
Muore a Parigi il 21 marzo del 1910 e viene sepolto nel cimitero di Père Lachaise.
I ritratti di Nadar
Tanto è stato scritto sui ritratti di Nadar, soprattutto su quelli eseguiti alle personalità intellettuali del suo tempo che egli,  per primo, con una intuizione che già era insita nei disegni del Pantheon Nadar, vuole rendere fruibili e accessibili ad un pubblico il più vasto possibile.
Nadar è un narratore della celebrità,  della quale è stato capace di rendere, forse più di qualsiasi altro, sia il fascino e il mistero che l’autenticità espressiva.
La migliore descrizione del suo lavoro è quella fatta da lui stesso il 12 marzo 1857 presso la Corte Imperiale di Parigi durante il processo di rivendicazione della proprietà esclusiva dello pseudonimo Nadar, nel pieno della tensione emotiva verso il nuovo mezzo artistico, all’inizio del periodo più creativo:
A ogni passo potete veder fotografare un pittore che non ha mai dipinto, un tenore senza scritture; e, lo dico sul serio, del vostro cocchiere come del vostro portinaio m’impegno a fare in una sola lezione altri due operatori fotografici. … la teoria fotografica si impara in un’ora; le prime nozioni pratiche in un giorno … quello che non si impara … è il senso della luce … è la valutazione artistica degli effetti prodotti dalle luci diverse e combinate … quello che s’impara ancora meno, è l’intelligenza morale del tuo soggetto, è quell’intuizione che ti mette in comunicazione col modello, te lo fa giudicare, ti guida verso le sue abitudini, le sue idee, il suo carattere, e ti permette di ottenere, non già banalmente e a caso, una riproduzione plastica qualsiasi, alla portata dell’ultimo inserviente di laboratorio, bensì la somiglianza più familiare e più favorevole, la somiglianza intima.