mercoledì 1 agosto 2012

William Henry Fox Talbot

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

William Henry Fox Talbot

Mentre la febbre della fotografia sta dilagando in Europa, William Henry Fox Talbot continua nei suoi esperimenti tesi ad affinare il procedimento della carta salata.
I suoi tentativi non si sono mai interrotti ed egli acquisisce  una serie di conoscenze ed esperienze che si riveleranno di importanza fondamentale per il futuro della fotografia.
Nel 1833 mentre fa degli schizzi con la camera oscura ha l’intuizione di «prendere una camre obscura e di proiettare l’immagine degli oggetti su un pezzo di carta nel suo centro, immagine fantastica, creazione efimera destinata a dileguarsi rapidamente. Volgendo questi pensieri, mi venne l’idea di quanto sarebbe bello far sì che le immagini naturale s’imprimano da sole e rimangano fissate in modo durevole sulla carta».
Viene a conoscenza delle proprietà fissative del tiosolfato, che permette di arrestare il processo di annerimento dei sali d’argento e rendere definitive le immagini prodotte sulla carta sensibilizzata.
Dai primi mesi del 1839 rivolge la sua attenzione a nuovi materiali fotosensibili .
Inizia ad impiegare come elementi sensibilizzanti il nitrato d’argento ed il bromuro di potassio, determinando la formazione di bromuro d’argento, tutt’ora utilizzato come ingrediente delle emulsioni fotografiche.
Il massimo risultato lo ottiene usando tale procedimento su fogli di carta già trattati col vecchio metodo al cloruro d’argento.
Gli esperimenti non si fermano e questo prodotto viene superato da nuove formule che utilizzano l’acido gallico, ottenuto dall’infusione delle galle che si formano sui tronchi o sulle foglie a causa della parassitosi di funghi o batteri.
Talbot comprende che l’acido gallico accelera l’apparizione dell’immagine prodotta dalla camera oscura.
L’annuncio della scoperta viene dato a Biot con una lettera che lo scienziato francese legge all’Accademia delle Scienze di Parigi il 18 gennaio 1841 e con altre due comunicazioni del 5 e del 19 febbraio alla Literary Gazette;  propone di chiamare il suo procedimento “calotype”, cioè “bella immagine” (dal greco Calos=Bellezza), successivamente modificato in “talbotype”.
Vista l’esperienza precedente fatta con Daguerre, l’8 febbraio brevetta il procedimento.
Dal negativo si ottene l’immagine positiva stampandolo su un altro foglio di carta sensibilizzato.
Il problema  della trasparenza, elemento che influenza la qualità della copia positiva, viene risolto trattando il supporto cartaceo con cera o prodotti oleosi così che la luce possa attraversare il negativo con maggiore facilità ed efficacia.
L’immagine  non è di eccelsa qualità, se paragonata al dagherrotipo, ma ha l’importante elemento della riproducibilità, perché dal negativo è possibile ottenere un numero infinito di copie positive.
Dopo aver brevettato il  metodo, Talbot inizia a sfruttarlo commercialmente, rilasciando licenze per la produzione di calotipi.
Nel 1842, in virtù della scoperta, riceve la Rumford Medal dalla Royal Society inglese.
Nel 1843 apre uno studio fotografico a Londra e l’anno successivo dà inizio alla pubblicazione del “The Pencil of Nature”, il primo testo a stampa su cui trovano posto delle fotografie, composto da una serie di successivi contributi che non solo illustrano in dettaglio la sua scoperta, ma introducono i primi elementi di riflessione sul significato e le possibilità di questo nuovo mezzo di espressione.
Su ogni copia sono applicate in originale le immagini calotipiche positive stampate dai suoi negativi.
Al contrario del dagherrotipo, che continuerà ad essere prodotto come immagine positiva diretta ed unica senza subire alcuna evoluzione (ed infatti in breve si estinguerà), il calotipo di Talbot appare suscettibile di continui miglioramenti.
Verrà superato soltanto dall’avvento della fotografia digitale. Cambieranno i supporti (carta, vetro, pellicola), si evolveranno le composizioni chimiche delle emulsioni d’argento fotosensibili e le loro risposte all’azione della luce (foto a colori), saranno  modificati i trattamenti rivelatori e i fissaggi, ma il principio rimarrà sostanzialmente il medesimo.