*Attenzione: la seguente biografia è
frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti
http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e
recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale;
le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell,
“I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos”
edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote”
edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da
Enaudi.
*ATTENZIONE:
il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici e informativi ed è consentita la pubblicazione
con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www.
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William Henry Fox Talbot
Mentre la febbre della
fotografia sta dilagando in Europa, William Henry Fox Talbot continua nei suoi esperimenti
tesi ad affinare il procedimento della carta salata.
I suoi tentativi non si sono
mai interrotti ed egli acquisisce una
serie di
conoscenze ed esperienze che si riveleranno di importanza fondamentale per il
futuro della fotografia.
Nel 1833 mentre fa degli schizzi con la
camera oscura ha l’intuizione di «prendere
una camre obscura e di proiettare l’immagine degli oggetti su un pezzo di carta
nel suo centro, immagine fantastica, creazione efimera destinata a dileguarsi
rapidamente. Volgendo questi pensieri, mi venne l’idea di quanto sarebbe bello
far sì che le immagini naturale s’imprimano da sole e rimangano fissate in modo
durevole sulla carta».
Viene a conoscenza delle proprietà
fissative del tiosolfato, che permette di arrestare il processo di annerimento
dei sali d’argento e rendere definitive le immagini prodotte sulla carta
sensibilizzata.
Dai primi mesi del 1839 rivolge la sua
attenzione a nuovi materiali fotosensibili .
Inizia
ad impiegare come elementi sensibilizzanti il nitrato d’argento
ed il bromuro di
potassio, determinando la formazione di bromuro d’argento, tutt’ora utilizzato come ingrediente delle
emulsioni fotografiche.
Il massimo risultato lo
ottiene usando tale procedimento su fogli di carta già trattati col vecchio
metodo al cloruro d’argento.
Gli esperimenti non si
fermano e questo prodotto viene superato da nuove formule che utilizzano l’acido gallico, ottenuto dall’infusione delle galle che si formano
sui tronchi o sulle foglie a causa della parassitosi di funghi o batteri.
Talbot comprende che l’acido gallico accelera l’apparizione
dell’immagine prodotta dalla camera oscura.
L’annuncio della scoperta viene dato a
Biot con una lettera che lo scienziato francese legge all’Accademia delle
Scienze di Parigi il 18 gennaio 1841 e con altre due comunicazioni del 5 e del
19 febbraio alla Literary Gazette;
propone di chiamare il suo procedimento “calotype”, cioè “bella immagine”
(dal greco Calos=Bellezza), successivamente modificato in “talbotype”.
Vista l’esperienza precedente fatta con
Daguerre, l’8 febbraio brevetta il procedimento.
Dal negativo si ottene l’immagine
positiva stampandolo su un altro foglio di carta sensibilizzato.
Il problema della trasparenza, elemento che influenza la
qualità della copia positiva, viene risolto trattando il supporto cartaceo con
cera o prodotti oleosi così che la luce possa attraversare il negativo con
maggiore facilità ed efficacia.
L’immagine non è di eccelsa qualità, se paragonata al dagherrotipo,
ma ha l’importante elemento della riproducibilità, perché dal negativo è
possibile ottenere un numero infinito di copie positive.
Dopo aver brevettato il metodo, Talbot inizia a sfruttarlo
commercialmente, rilasciando licenze per la produzione di calotipi.
Nel 1842, in virtù della scoperta,
riceve la Rumford Medal dalla Royal Society inglese.
Nel 1843 apre uno studio fotografico a
Londra e l’anno successivo dà
inizio alla pubblicazione del “The
Pencil of Nature”, il primo testo a stampa su cui trovano posto
delle fotografie, composto da una serie di successivi contributi che non
solo illustrano in dettaglio la sua scoperta, ma introducono i primi elementi
di riflessione sul significato e le possibilità di questo nuovo mezzo di
espressione.
Su ogni copia sono applicate in
originale le immagini calotipiche positive stampate dai suoi negativi.
Al contrario del dagherrotipo, che
continuerà ad essere prodotto come immagine positiva diretta ed unica senza
subire alcuna evoluzione (ed infatti in breve si estinguerà), il calotipo di Talbot appare suscettibile di continui miglioramenti.
Verrà
superato soltanto dall’avvento della fotografia digitale. Cambieranno i
supporti
(carta, vetro, pellicola), si
evolveranno le composizioni chimiche delle emulsioni d’argento fotosensibili e
le loro risposte all’azione della luce (foto a colori), saranno modificati i trattamenti rivelatori e i
fissaggi, ma il principio rimarrà sostanzialmente il medesimo.